Ricordi ancora il minaccioso avvertimento: “smetti di fare le boccacce, altrimenti la tua faccia rimarrà deformata per sempre”? Beh questo è esattamente ciò che è successo al povero Aaron, il protagonista del pluripremiato cortometraggio del 2016 “Cautionary Tales” diretto da Luke Taylor and Christopher Barrett.
Il cast di questo geniale e commovente breve film riesce abilmente a far calare gli spettatori all’interno della loro surreale situazione. Ross Hatt, attore principale, infatti ci convince sin da subito e in maniera spontanea che sta vivendo qualcosa di reale. Uno strano mix di divertimento e dispiacere ci accompagna per tutta la durata del film, rendendolo tragicomico, un fattore probabilmente dovuto all’obiettivo dei registi di far semplicemente sorridere il pubblico piuttosto che portarlo alle risate.
In soli otto minuti ci ritroviamo a tu per tu con alcune delle nostre più grandi paure dell’infanzia, tutte comodamente sedute in quella che sembra a tutti gli effetti una riunione degli alcolisti anonimi. Scopriamo così, che tutte le storielle e le raccomandazioni che ci facevano i nostri genitori erano vere e che i personaggi di questa storia hanno dovuto affrontarne le conseguenze. “Vorrei aver ascoltato mia mamma” è quello che tutti quanti si pentono di non aver fatto.
Durante la prima visione ho provato molte emozioni contrastanti ma alla fine l’ho trovato estremamente arguto e innovativo. I registi coinvolgono sapientemente gli spettatori in un viaggio nel subconscio in cui, come in un sogno, tutti i personaggi del nostro immaginario tornano in vita e prendono la questione molto seriamente.
La vicenda ha luogo in una grigia e anonima città di cui non sappiamo nulla. Nella scena iniziale abbiamo subito un indizio della cupa atmosfera che dominerà incontrastata: Aaron seduto di spalle da solo sulla panchina di un parco desolato. Taylor e Barrett sono un duo di graphic designer e lo si vede chiaramente dalla loro abilità nella scelta degli effetti speciali e nell’uso dei primi piani che usano per trasmettere emozioni anche senza bisogno di parole. La scelta della luce scarsa e dei colori scuri accentuano poi il sentimento di pietà e commozione che proviamo nei confronti dei personaggi. Abbiamo inoltre la possibilità di goderci la bravura dei registi nei titoli di coda, dove ogni attore viene presentato tramite alcune vignette di Giulia Ghigini che sembrano illustrazioni di libri per bambini, il che ci riconnette nuovamente ai nostri ricordi d’infanzia.
Per quanto riguarda il soundtrack, è stata scelta una sola canzone che fa da filo conduttore dall’inizio alla fine e compie un ottimo lavoro nel porre enfasi nelle scene toccanti che si susseguono in un crescendo di emozioni, specialmente nell’inatteso risvolto finale. Si tratta di “Everybody wants” degli Half Moon Run che emblematicamente ripete “everybody wants to fit in” (tutti vogliono sentirsi accettati), che ricalca il tema centrale del racconto: un gruppo di esclusi alla ricerca del proprio posto nel mondo. L’obiettivo infatti, a detta di Taylor e Barrett, era quello di creare personaggi vulnerabili con cui chiunque, in qualche momento della propria vita, potesse empatizzare (non importa quanto strani essi appaiano).
In definitiva possiamo definirlo un lavoro davvero ben riuscito, con l’aggiunta di una buona dose di ironia che adulti e ragazzi non mancheranno certo di apprezzare. Una piccola perla da non perdere!
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