Alla ricerca di Beth Cohen

Alla ricerca di Beth Cohen

Tutti I miei personaggi hanno sempre continuato a vivere con me. Se servivano ad altri se ne andavano per un periodo, però poi tornavano sempre. Anche io d’altra parte, ogni tanto, mi divertivo a passare il tempo con i personaggi degli altri. Con il dovuto rispetto, tra l’altro, chiunque fosse l’autore, da Shakespeare a Woody Allen.

Quello che mai mi era capitato era che un personaggio sparisse. Eppure, è così che inizia la nostra storia.

Era una sera di quarantena di fine marzo, nell’anno del Signore duemila e venti, e mentre annoiato disegnavo donne felliniane abbondanti in ogni curva bevendo acqua e aspirina per combattere il mal di testa, fece capolino al mio tavolo Angel Cohen.

Bellissima nel suo abito lungo ma con l’aria troppo allarmata per una donna solita sorseggiare incessantemente martini una volta sceso il tramonto.

  • Non hai notato che manca qualcuno? –
  • Oh, beh, che posso dirti, siete sempre in giro, non sono mica vostra madre. –
  • Sì ma se qualcuno di noi non si fa vedere e neppure sentire per qualche giorno dovresti preoccuparti. –
  • Di chi si tratta? Se è Sheldon sarà rimasto chiuso dentro un ascensore… –
  • Non è Sheldon. –
  • Quindi? –
  • È mia sorella Beth. –

Ci guardammo negli occhi per qualche istante.

  • Ho un po’ troppi problemi in questi giorni per pensare anche a voi… –
  • Ma come?? Sono tre settimane che è sparita! Devi intervenire. –
  • Non ho idea di come fare. Poi c’è la quarantena e… –
  • Smettila! Zitto! –

Aveva sempre il fuoco addosso quando si arrabbiava. Io rimasi basito per qualche istante, forse intorpidito dai troppi giorni a casa o dall’abuso di aspirine, non so.

  • Inventati qualcosa! –
  • Ok… Ok… Ma tu verrai con me. –
  • Io? Ma io sono una diva! –
  • Beh, la conosci meglio di me e comunque sia serve sempre una femme fatale in una storia e tu sei una delle migliori che ho. –

Rimasi qualche istante sovrappensiero. Lei mi fissava con i suoi occhi grandi e curiosi, un po’ impaziente.

  • E… E mi servirà anche il mio miglior investigatore privato. Mettiti qualcosa di più comodo, tra poco usciamo tutti e tre. –
  • Tre? Chi sarebbe il terzo? –
  • Il miglior investigatore sulla piazza. Giona Cavalli. –

Giona era veramente il migliore sulla piazza. Ma a Casablanca, negli anni ’40. E, a onor del vero, già all’epoca era un po’ svanito, colpa del whisky o degli amori falliti, non ricordo bene. A Milano nel 2020 però le cose erano un po’ diverse. Sarebbe stato ancora all’altezza della situazione? Si accese una Nazionale senza filtro e sentenziò:

  • La troveremo. Allora chi è la pulzella? –
  • È una critica cinematografica. Cioè lo era, poi è diventata una regista. Giovane, carina, brillante, mora, capelli lisci, pelle chiara… –
  • Dove l’hai vista l’ultima volta? –
  • Beh, è un personaggio della mia immaginazione non so dirti bene… Ti direi in sala prove, qualche settimana fa. –
  • Saranno stati certamente i Governativi. –
  • Non credo per la verità. –
  • Quei bastardi… –
  • Da dove cominciamo? –
  • Beh, bazzichiamo un po’ la piazza. Potremmo andare al Gambero Zoppo oppure ai Granchi Monchi. –
  • Eh, non li frequento solitamente, però comunque temo che i locali pubblici siano chiusi. –
  • Eh, con il fascismo succede. –
  • Sì, certo, però credo che sia colpa di un virus… –
  • Questo lo credi tu, che a giudicare dalla tua abitazione borghese pur non essendo fascio sarai certamente di ambienti limitrofi… –
  • Ma quando mai??? Vogliamo muoverci?????? –
  • D’accordo, almeno una cartomante me la sai trovare? –
  • Beh, ricordo che qualcuna lavorava in Brera ma non so… –
  • Andiamo! –

 

Così uscimmo nella notte. Lei, chioma bionda al vento, lui, nascosto dietro un cappello, entrambi chiusi in dei trench d’avventura, e infine io, intorpidito dalla clausura, barba incolta look trasandato, come fossi un terzo scapigliato dei nostri tempi, ma con una cuffia da chi ha ascoltato troppo hip-hop in gioventù.

Milano così silenziosa e deserta fa un po’ rabbrividire. Scivolammo silenziosamente fino all’auto, poche vie, un parcheggio troppo facile da trovare ed eravamo nel cuore del quartiere della movida, almeno prima del virus. La nebbia si alzava lentamente. Eravamo soli: solo un signore anziano, con un fedele cane al seguito, marciava a ritmo troppo sostenuto sul lato opposto della strada, con la bocca coperta da una mascherina e gli occhi pieni d’odio e risentimento per il nostro terzetto fuori luogo.

  • Allora, questa è via Brera, di qua a destra potevamo trovarne una in altri tempi, ma adesso… –
  • Adesso ne abbiamo ben tre! –

Sgranai lo sguardo ma Angel non si era sbagliata. Non una ma ben tre cartomanti si trovavano di fronte a noi, ben distanziate l’una dall’altra, non tanto per sicurezza sanitaria quanto per privacy.

La prima era minuta ma ben vestita, protetta dal freddo da uno scialle grande in dimensione e in valore. Qualche gioiello addosso, tarocchi nuovi di zecca, sedie comode.

  • Volete vedere nel futuro? I soldi, l’amore? I prezzi sono alti ma i responsi positivi. –
  • Non so… –

Imprecò. Angel sobbalzò, e si strinse intorno al mio braccio. Giona a scrutò con le fessure che aveva al posto degli occhi.

  • Questa è una ciarlatana… –

La seconda era anch’essa minuta, ma giovane e ammaliante. Come una Esmeralda delle terre nostre, carica in bigiotteria e riccioli. Un borsone grande la affiancava, pieno di strani oggetti.

  • Cosa vedono i miei occhi da corvo? Hah! Paure e desideri! Rischi e avventure! Venite a scoprire il vostro futuro… –
  • Mi ricordo di te, Trivia. Hai fatto un bel lavoro con la vecchia nel cielo… –
  • Grazie, caro, ora potresti farmi prendere parte a una nuova avventura. –
  • Tu che ne dici, Giona? –
  • No, lei non va bene, sa troppo quello che fa. –
  • Scusa ma la prima era una ciarlatana, ben chiaro, la seconda troppo brava, di cosa hai bisogno? –
  • Di lei… Madame Leota! –

Si allontanò da noi per raggiungere l’ultima cartomante. Un grande sorriso e un accogliente abbraccio. Una figura inusuale, capace di infondere sospetto e simpatia al contempo, colorata e frizzante.

  • Io posso dirvi quello che volete sapere! –
  • Grazie! Abbiamo un disperato bisogno di lei. –
  • Allora dovete sempre usare un fuoco molto lento e cuocere a lungo, ricordandovi di bagnare l’animale spesso, usando i suoi umori e… –
  • Madame, è una ricetta? –
  • Non volevate sapere il segreto per il capretto in umido? –
  • No, cerchiamo una persona. –
  • Ma veramente dobbiamo ascoltare questa!!! –

Sentenziò Angel.

  • Calma, calma. –

Provai io, con un aplomb degno di un caro amico.

Intervenne infine Giona:

  • Cerchiamo una ragazza. Beth Cohen. –
  • Mia sorella. –

Leota annuì. Poi chiuse gli occhi, e iniziò a recitare silenziosamente.

  • Un rullo, un tamburo, una danza Kuduro… –

Allungò le mani sul tavolo. Poi rovesciò gli occhi e cambiò improvvisamente tono di voce:

  • Né di notte né di giorno avrà il sonno appollaiato, sulla gronda delle fronde vivrà scomunicato… –

Mi permisi così di sussurrarle:

  • Cerchiamo Beth Cohen –

E lei, variando di tono:

  • Nera strada è per voi ancor lunga

Ma tristezza stasera non vi punga

Tra fumi artificiali tosto recatevi

Ma da esta città non spostatevi

Notizie cercate tra mura siriane

Ma attenzione fate orsù al cane –

Rimanemmo un momento in silenzio. Poi provai:

  • C’è altro? –

E lei, con tonalità calcuttiane:

  • Si muovono i gatti tra secchioni e vetri rotti e la gente prende i mezzi… –
  • Direi di no. –

Tornammo all’auto persi nei nostri pensieri.

  • Fumi artificiali, fumi artificiali… –
  • Venditori di fumo? Qualcosa a che fare con lo spaccio? Erba? –
  • No, si riferisce al locale del narghilè. Dove è nato il personaggio di Beth. Dobbiamo cercare lì. –
  • Sicuro che non siano i Granchi Monchi? –
  • strada ancor lunga…” Dobbiamo chiedere di lei. –
  • Mura siriane”… Certo –
  • Attenti al cane… –
  • Esatto! Attento!!! –

Un poliziotto ci fermò di colpo.

  • Era rosso. –
  • Mi scusi agente. –
  • La signorina non aveva la cintura.
  • Angel… Le chiedo scusa ancora. –
  • Non si può circolare in tre in una sola auto, massimo in due. –
  • È un’emergenza. –
  • Avete le autocertificazioni? –
  • No… –
  • Patente e libretto –
  • La patente è scaduta. –
  • Eh, i posti sono chiusi per la quarantena, quindi… –
  • È scaduta da due anni. –
  • E anche il libretto. –

La situazione stava precipitando. Cercai di salvarla io.

  • Senta non è che può chiudere un occhio?
  • Chiudere un occhio? –
  • Ok, diciamo, entrambi. –
  • Dovrei anche tapparmi naso e orecchie per una situazione del genere. Siete dei degenerati e una notte in gattabuia non potrà che farvi bene. –

Intervenne allora Angel, e con fare suadente cercò di aggirare l’ostacolo:

  • Agente, non c’è proprio nulla che si possa fare? Sono solo una ragazza sbadata con amici sbadati… –

E nel farlo, gli allungò una mazzetta.

  • Corruzione di pubblico ufficiale! Qua la situazione si aggrava! –

Infine intervenne Giona:

  • Oh, ora basta! –

Tirò fuori la pistola, poi colpì il poliziotto al volto, facendolo cadere al suolo. Prese poi il taccuino dove si era scritto il numero di targa e tutto il resto per sussurrarci infine:

Così riprendemmo strada per la Milan diserta, mentre la nebbia s’infittiva sempre di più, rendendo l’atmosfera ancora più surreale.

  • Però è bella la nostra città, eh? –
  • Mi manca la Francia. –

Sussurrò Angel. Gli fece eco Giona.

  • Anche a me. –

L’adrenalina dell’incontro con il poliziotto stava lentamente scendendo, e l’aria ci rese un po’ malinconici.

  • Siamo arrivati. –

Il locale era chiuso. Giona forzò la serranda mentre Angel faceva da palo, così entrammo. Vuoto. Gli attrezzi per fumare erano sparsi ovunque. Il bar chiuso, con tutte le bottiglie ancora in mostra, come se fosse stato chiuso da un giorno all’altro. Che poi era la realtà. Chissà quando avrebbe riaperto. Perlustrammo il locale in poco tempo e non trovammo nulla. Forse c’eravamo sbagliati. E se fosse stato un altro locale per narghilè? Impossibile, il riferimento era chiaro, poi la parola siriane fugava ogni dubbio. Giona prese una bottiglia di whisky. La aprì e se ne versò un bicchiere.

  • Tanto già che siamo qui! Voi volete qualcosa? –
  • Un Martini, bianco, ben freddo! –

Urlò Angel, che iniziava a stancarsi della caccia.

  • Non c’è. –
  • Allora qualsiasi cosa basta che sia alcolica! –
  • Agli ordini, E tu? –
  • Boh, dammi un bicchiere d’acqua che mi faccio una bella aspirina. –
  • Ormai sei aspirinomane, eh? Questa mi mancava. E mancava anche a te. Comunque mi rifiuto di servirti acqua, tieni, una bella vodka. –
  • Vabbè, credo sia comunque un solvente adatto all’aspirina. –
  • Ci vuoi anche mezzo limone per bruciarti di più lo stomaco? –
  • No, la trovo autolesionista a sufficienza così grazie. Anzi, fammi pure fumare che non lo faccio da troppo. –

Così ci perdemmo un po’ tra i fumi dello shisha e quelli dell’alcool, tra le chiacchiere e qualche reminiscenza del passato. Giona poi era su di giri.

  • Beh, io il Diavolo l’ho incontrato e posso dirvi che quello si che è una Diva altro che Angel Cohen, ma chi sei tu Angel Cohen? –
  • Sono io Angel Cohen e so per certo che un giro sulla giostra lo faresti eccome caro mio, anzi faresti carte false per me! –

Era un flirt così, gioioso, tra insulti, ma per due personaggi così particolari ci stava. Sarebbe stato bello vederli in uno spettacolo insieme. Ma il primo era morto negli anni ’60 e la seconda era nata negli anni ’80 quindi non sarebbe mai stato possibile. Peccato. Comunque la nostra ricerca sembrava essere giunta a un punto morto. Aspettavamo, ma sarebbe stato tutto inutile se non fosse giunto un deus ex machina a smuovere la storia.

Apparve infatti una figura, emergendo come per magia tra i fumi dello shisha.

  • Così non sapete come proseguire, eh? Beh forse avreste dovuto chiedere a me. –
  • Chi sei tu? Vestito tra l’altro in maniera così buffa? –
  • Sono stato chiamato in molti modi.” Pagliaccio” da parte tua, Angel, se ricordo bene. Il “tipo di Beth”. Il “Prestigiatore dall’Oriente”. –
  • Non era Pasticcione dall’Oriente? Ma certo che ti riconosco! Tu sei Hong Ze Chuai!
  • Chuaì! Chauì! Con l’accento sulla ì! –
  • Comunque sì, così mi chiamavo. Voi mi conoscevate come Hong Ze Chuaì il Grigio. Io sono Hong Ze Chuaì il Bianco. –
  • Sì, d’accordo, come puoi aiutarci? –
  • Come ex-fidanzato o come Mago? –
  • Non lo so, in qualsiasi modo. –
  • Allora, prendiamoci per mano, ora, rilassatevi, chiudete gli occhi e pensate intensamente a Beth… –

Rimanemmo così per qualche minuto. Infine il mago riparlò:

  • Non è una buona notizia quella che porto. Il Mimo ha rapito Beth. –
  • Il Mimo? E perché? –
  • Già. Quell’autore che ti ha già copiato in passato l’ha presa per una sua storia. –
  • È da lui? –
  • Sì. E le farà fare cose terribili. –
  • Del tipo? –
  • Un musical in stile Bollywood. Ci saranno duelli cantati e attori vestiti da animali. –
  • Sembra divertente. –
  • Già non è una cattiva idea. –
  • Si innamorerà di un altro. Non farà più né la critica né la regista, bensì la politica. E avrà una sorella astemia. –
  • Dobbiamo assolutamente intervenire. –
  • Avete poco tempo. –
  • Dove lo troviamo? –
  • Si nasconde in un luogo dimenticato da tutti. –
  • Quale? –
  • Il Teatro del Ricordo. –
  • Della memoria? –
  • Non ricordo. –
  • Corriamo! –

Così ripartimmo di nuovo, vero l’ultimo indirizzo di quella notte, un teatro nel nord della città dove non andavo da tanto tempo. Guidai di corsa, Giona sfondò la porta, e Angel ci fece strada e lì, sul palco, stava il Mimo, circondato dai suoi personaggi. In un angolo, legata, c’era Beth.

  • Lasciala andare! –
  • Altrimenti? Voi siete in tre, noi siamo in tanti. –

Mi misi a ridere. Mi aveva sottovalutato.

  • In tre Mimo? Ho molti più personaggi di te, cosa credi? –

E tutti apparvero per dare una mano a Beth. Sommelier Francesi, mafiosi newyorkesi, insegnanti di golf dall’Inghilterra, pornostar, preti, concierge; un esercito di personaggi tutti lì per salvarla.

La rissa fu abbastanza patetica perché caotica e composta generalmente da persone impreparate. Volarono schiaffi e parole pesanti. Poi si passò alle spade e ai pesci in faccia. Infine alle pistole.

Un colpo vagante mi prese in testa e spedì in pochi istanti a terra.

Poi fu il nulla.

Cioè qualcosina in più del nulla sennò c’è poco da dire.

Il classico tunnel buio, la luce in fondo, poi una nuvoletta su cui stava seduto un mio alter ego già morto: Guido Contini con la sua sciarpa rossa e il suo cappello da regista, comodamente adagiato con un calice di rosso in mano.

  • Come te la sei presa per Beth, mamma mia! Anche a me m’hai preso in prestito e ti lamenti tanto! –
  • Il Mimo è un ladro e io… –
  • E tu sei un ladro! E io sono un ladro! E Dante era un ladro e persino Omero era un ladro che ti credi? –
  • Io sono… –
  • Tu dovresti essere orgoglioso di quello che ha fatto il Mimo e basta! –
  • Poteva chiedere… –
  • Tu l’hai chiesto a Stoker prima di stravolgere il Dracula? E non affondo il dito nella piaga perché sono un gentleman. –
  • Va bene, hai ragione, sono solo un po’ nervoso tutto qui. Il Cyrano e tutte le performances di questa primavera sono state cancellate, poi il festival quest’estate e anche altre cose non vanno e io… –
  • E tu ti lagni sempre! –
  • A me piace lagnarmi! –
  • Allora fai una bella cosa. Tornatene a casa e rimettiti a scrivere. Magari qualcosa di bello. Dai ai tuoi personaggi qualche nuovo amico. Un po’ di idee le avevi no? –
  • Sì, sì, anzi sai che sono sempre triste per tutte le storie che ho in testa e non riesco a scrivere. –
  • E ti ripeto, ancora, per l’ennesima volta, di pensare ad essere felice per tutte quelle che hai avuto l’onore di raccontare. E per quelle che sono state annullate… Non sono state annullate, sono state posticipate, che è diverso. Guarda che il sipario poi si riapre, eh? –
  • Ogni tanto mi spiace di averti fatto morire. Mi piacevi come personaggio. –
  • Sei sempre in tempo per un prequel. –

E sorridendo Guido Contini sparì. Io mi risvegliai, al computer in casa mia. Dolore alla schiena. Dolore alla testa. Sei e mezza del mattino. Avevo dormito al computer un’altra notte, imbottito di aspirina e un po’ di altra roba. Mi alzai, un po’ d’acqua, un giro per casa. Fuori era ancora buio. Un grande silenzio ma ormai non ci si fa più caso, da quando c’è la quarantena è così ad ogni ora. Mi stiracchio un po’ e penso di spostarmi al letto ma poi sento una voce dalla cucina. Giona.

  • Certo che ne hai di whisky buoni in casa. Secondo me ti farebbero dormire meglio di quella roba che prendi. –
  • No, grazie a te. Mi mancava una bella avventura. Spero non passino così tanti anni prima della prossima. –
  • Lo spero anch’io. –

Sì, i personaggi erano tutti lì, al loro posto. Riposavano, costretti a farlo di questi tempi. Non possono prendere vita sul palco, almeno per un po’.

  • Penso che scriverò una storia. –

Sussurrai.

Ho voglia di creare qualche personaggio nuovo.

Perché prima o poi il sipario si riaprirà.

E, come nei film seri, lontano fuori dalla finestra si tingevano i colori dell’alba.

  • Com’era Giona? Quella vecchia notte a Casablanca, Per quanto lunga possa essere la notte… –
  • … Non lo sarà mai abbastanza per impedire al sole di risorgere. –

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