La dea fortuna: un Ozpetek in grande spolvero

La dea fortuna: un Ozpetek in grande spolvero


Come in quasi tutti i suoi film, l’omosessualità – un vero e proprio topos per il regista Italo-turco – è al centro del nuovo film di Ferzan Ozpetek, “La dea fortuna”, nelle sale da giovedì.

Eppure, nonostante la ridondanza, è un film che tutti, a prescindere dall’orientamento sessuale, dovrebbero guardare. Un film dolente, intriso di umanità, passioni, mestizia; probabilmente il miglior lavoro di Ozpetek al pari di Saturno contro.

Una coppia in crisi formata da Edoardo Leo e Stefano Accorsi si trova tra capo e collo due bambini cui doversi occupare fin tanto che la madre è in ospedale alle prese con delle analisi mediche. L’amore tra i due è ormai logoro, dopo 15 anni di convivenze (e tradimenti), anche se permane l’affetto. L’arrivo dei due bambini sarà l’occasione per riflettere sulla loro relazione, tra crisi e riavvicinamento, recriminazioni e risentimenti, mettendosi in discussione in un ruolo altero, quello di genitore. Il titolo del film, la dea fortuna è un antifrasi che sta ad indicare il ruolo del fato nelle vicissitudini personali.

Il film riflette esperienze e riferimenti autobiografici come la morte del fratello del regista, avvenuta l’anno scorso. «Un anno fa mio fratello era gravemente malato. Sua moglie, a cui sono molto legato, mi aveva chiesto, in caso fosse successo qualcosa di grave anche a lei, di occuparmi insieme al mio compagno dei suoi due figli… Eppure, questa richiesta mi ha spalancato un mondo di angoscia, dubbi e paure… Questo film è stato un modo per esplorare quei dubbi e quelle emozioni». Da qui quella che Mereghetti ha definito “una conquistata maturità narrativa”.

Pur non essendo un film militante o con finalità politiche, nel senso stretto del termine (si farebbe un torto al regista nel pensarlo), esso si innesta nel dibattito sempiterno sulle adozioni per le coppie omofile, le cosiddette famiglie arcobaleno; se cioè sia maggiormente dirimente, per crescere dei figli, l’affetto di una coppia oppure la presenza di un padre e una madre (e implicitamente questo film sembra sposare la prima tesi).

La buona riuscita del film deve molto al cast: l’interpretazione di Edoardo Leo, alla sua prima parte drammatica, è di quelle che lasciano il segno, Barbara Alberti è strepitosa nei panni di una vecchia signora ribalda, Jasmine Trinca si conferma una delle attrici più talentuose in circolazione; e persino Accorsi ci riserva una recitazione intensa e convincente – per lui vale un discorso analogo a quello di Monica Bellucci: sebbene entrambi non siano tagliati per la recitazione (anche e soprattutto per difetti di voce e dizione), rispetto agli esordi, a furia di recitare, sono notevolmente migliorati.

Il regista ci mette del suo maneggiando la materia con una sensibilità ragguardevole. La forza di questo film – ha scritto Mereghetti – è nella delicatezza con cui sa parlare di sentimenti, di passioni, di responsabilità. Il tutto è poi impreziosito dalle musiche avvolgenti di Mina, sua grande amica, e Diodato.

Qualche difetto è ravvisabile nella sceneggiatura, troppo sbrigativa in alcuni passaggi a discapito del pathos o in qualche personaggio di contorno, insignificante (la coppia di amici, la profuga, Serra Yalmez che recita sempre la stessa parte). Anche qui, come ci ha abituato nei lavori precedenti, ci sono elementi tipici della sua filmografia: grandi tavole imbandite, balli sotto la pioggia, canzoni turche, edifici sontuosi. Fortunatamente, il solito caravanserraglio di personaggi gay, trans, lesbiche stravaganti e pittoreschi che popolano l’universo cinematografico di Ozpetek è piuttosto marginale, confinato nei primi 5 minuti del film.

In questi anni, il regista ci aveva propinato una serie di film a dir poco imbarazzanti, (come ad esempio Napoli velata o Rosso Istanbul). La dea fortuna lo riporta dove merita di stare: nel novero dei registi italiani tra i più raffinati, originali, interessanti sulla scena.

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