Spesso pensiamo agli effetti negativi che la tecnologia e i media hanno su di noi, immaginiamo di essere in una puntata di Black Mirror e, presi dalla paranoia, iniziamo a coprire la webcam del nostro pc con un pezzetto di nastro adesivo, oppure guardiamo il film Her e ci lasciamo pervadere da un senso di angoscia quando ci rendiamo conto del fatto che la tecnologia sta diventando così invadente da sostituire completamente i rapporti umani. Ma davvero la tecnologia è così pericolosa? Davvero siamo di fronte ad un futuro immerso in uno scenario apocalittico e distopico?
L’esempio che riporto è quello della realtà virtuale, una tecnologia immersiva che grazie a maschere o caschetti proietta una realtà di cui l’utente può sentirsi parte. Non sto parlando solo di simulare una caduta da un grattacielo di cento piani oppure di far finta di lanciarsi dal bungee jumping o di andare sulle montagne russe (nonostante tutto questo sia divertente e soprattutto possibile e alla portata di tutti), ma qui il focus è su un aspetto più importante e più utile, ossia quello di creare empatia attraverso la realtà virtuale e l’esempio che riporto è quello del video Clouds over Sidra.
Si tratta di un docufilm che mostra la vita dei rifugiati siriani nel campo di Zaatari, il campo profughi che ospita ad oggi circa 130.000 siriani in fuga dalla guerra e dalla violenza. La storia viene raccontata da Sidra, una ragazza di 12 anni che vive nel campo insieme alla sua famiglia e accompagna lo spettatore in questo tour virtuale. Il video caricato su You Tube utilizza quella che in gergo viene chiamata in your face experience, esperienza che offre la possibilità di calarsi nei panni di un’ altra persona, sentendosi come se si fosse effettivamente lì nel campo profughi. Si tratta di una vera e propria esperienza mediale che coinvolge lo spettatore e gli dà l’impressione di vivere in prima persona la realtà che vede nel mondo indiretto.
Tutta la narrazione contribuisce a creare un effetto patemico nello spettatore che alla fine del video viene manipolato e diventa destinatario di un poter fare che è quasi un dover fare.
Soprattutto le scritte bianche su sfondo nero e la colonna sonora dai toni particolarmente drammatici contribuiscono ad aumentare il coinvolgimento del video. In particolare l’ultima frase proiettata recita: “To help please visit vrse.com/sidra” tenta di invogliare lo spettatore a visitare il sito sul quale verrà rimandato ad una pagina web dell’ Unicef.
Il destinante video convince in questo modo il destinatario spettatore a donare una somma all’Unicef e gli fornisce gli strumenti per farlo. Il tutto è quindi reso possibile dal video in realtà virtuale durante il quale lo spettatore coinvolto emotivamente si sarà chiesto varie volte come poter aiutare concretamente famiglie come quelle di Sidra.
L’ obiettivo è proprio quello di creare empatia facendo calare lo spettatore nei panni di chi ha bisogno per far sì che egli si senta in dovere di fare qualcosa perché quasi coinvolto in prima persona.
Un video come Clouds over Sidra è un’alternativa forse maggiormente convincente e più efficace rispetto alle campagne proposte in televisione proprio perché crea un grado di immersività maggiore e un conseguente effetto di empatia da parte dello spettatore che si sente in dovere di agire in modo concreto.
Insomma, si tratta di un video che inscena la triplice funzione di intrattenimento, educazione e informazione e che sfrutta la tecnologia per una nobile causa e che mi lascia pensare che “nemmeno è tutto nero” (cit. Gazzelle): forse basta spostare per un attimo l’obbiettivo della telecamera altrove.
https://www.academia.edu/38274189/Clouds_over_Sidra_-Come_la_realt%C3%A0_virtuale_crea_empatia-_pdf
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