In tutta la sua produzione letteraria, Virginia Woolf si è trovata ad affrontare il tema dello scorrere del tempo e di come questo influenzi l’esistenza dei suoi personaggi. Il tempo, nelle sue storie, è rappresentato in molteplici modi: attraverso il raffronto fra passato e futuro, come in To the Lighthouse; oppure come una sola, ricca giornata in cui due differenti punti di vista sulla vita si intrecciano e accavallano, tramite lo snodarsi di esperienze condivise (Mrs. Dalloway); il tempo può essere l’evoluzione dei pensieri di un uomo e di una donna, attraverso epoche diverse (Orlando). Ne Le Onde (The Waves nell’edizione originale), sua opera della piena maturità, certamente la più sperimentale, il tempo, dall’essere gabbia che imprigiona i personaggi, diviene il centro stesso della vicenda, il suo ritmo. Nadia Fusini, nella sua introduzione alla traduzione italiana del testo, lo paragona al ritmo “sempre uguale, eternamente mobile, eternamente ripetitivo, delle onde, […] una cresta d’onda si accavalla sopra l’altra, la travolge, si annulla in essa – ma per un istante una figura si disegna”.
Le figure che si disegnano in The Waves sono quelle umane dei narratori, poiché stilisticamente sarebbe scorretto parlare di personaggi: la struttura dell’opera, infatti, si dipana attraverso i soliloqui di sei individui, le cui voci in prima persona si alternano in un incalzante e soffocante presente, in perenne mutamento fra un passato che è stato ricco di sogni e un futuro verso cui proiettare illusioni e desideri. Come un’onda, le vite si intrecciano, avanzano, si sovrappongono, crescono e rimpiccioliscono, si infrangono e si rigenerano in un atto di eterno ritorno, eppure Virginia Woolf è sempre in grado di interrompere il loro movimento e, come in un quadro di Renoir, dipingere con la sua arte letteraria i momenti così congelati:
“Ho attraversato il sole senza sole della non-identità [narra Bernard]. Una strana terra. In quell’attimo di appagamento, di soddisfazione dimentica, ho udito il respiro della marea che va e viene e mi trascina oltre questo cerchio di luce fulgida, questo rullio di furia insensata. Ho avuto un istante di grande pace. Forse è questa la felicità.”
Chi sono dunque i narratori, i ‘protagonisti’, se così vogliamo chiamarli, di queste onde?
Bernard è il letterato, vuole impressionare il suo prossimo con l’abilità oratoria e la cultura; Neville ha bisogno di qualcuno disposto ad accettare il suo amore; Susan trova la sua realizzazione di donna in una sola persona, attraverso la maternità; Louis si sente emotivamente isolato, vede solo nella concretezza del suo lavoro e della ricchezza materiale lo strumento attraverso cui affiliarsi; Jinny ha imparato ad usare la sua bellezza per far sì che sia il mondo a cercarla; Rhoda è disillusa, antisociale, costantemente in fuga da una normalità per lei asfissiante, l’unica a desiderare attivamente la solitudine perché sente di non volere e non poter essere compresa.
Ognuna delle sei voci narranti esprime la sua visione unica ed irripetibile dello stare al mondo, soffre di un’individualità che la fa sentire sola e abbandonata, e pertanto ricerca a modo suo il mescolarsi nel mare dove è possibile sperimentare la dimensione dell’unitarietà e della fusione, naviga e nuota in compagnia degli altri, per non sentirsi più isolata e sola. Il mare diventa la metafora di una molteplicità di sensazioni e dimensioni esistenziali che possono essere irripetibili e uniche ma al contempo “differenti ipostasi di una stessa sostanza spirituale”, come afferma la Fusini. È la stessa Woolf a scrivere in merito alla stesura del libro: “Non mi interessa una vita singola, ma la vita di tutti”.
L’individualità nella cornice del tempo è confusa, in lotta quasi, con sé stessa e con i suoi simili; non riesce ad imporsi; alle volte il discorso iniziato da qualcuno viene proseguito da un altro, come in un gioco di staffette, l’excipit di una voce diventa l’incipit della successiva, anche se ad essere espressi sono pensieri, non voci. Il lettore è una platea, e sul palcoscenico vede i sei attori che si guardano fra loro, si guardano intorno, si esprimono ma non si capiscono bene:
“Queste acque scroscianti, – disse Neville, – su cui poggiamo le nostre insensate piattaforme, sono però più forti delle grida scomposte, spossate, incoerenti che lanciamo quando proviamo a parlare e ci solleviamo; o quando usiamo la ragione ed esplodiamo in quelle espressioni false, “io sono così, io così”. Il linguaggio è falso.”
Il sipario talvolta cala: gli interludi in cui la Woolf narra il trascorrere di una giornata, attraverso i moti del mare e gli spostamenti della luce, interrompono una scena e anticipano la seguente. E quando il sipario si rialza, il tempo è cambiato nuovamente, lanciato in avanti, sempre più confuso. Le immagini degli astanti sono separate e in avvicinamento, come i movimenti dell’onda. L’eterno ritorno del moto marittimo le fa muovere su percorsi già familiari, creste e avvallamenti si susseguono ritmicamente, ma l’onda non sarà mai composta dalle stesse identiche gocce d’acqua della precedente. Nella confusione, si otterrà finalmente quella fusione di identità tanto agognata:
“’Chi sono?’ Ho parlato di Bernard, Neville, Jinny, Susan, Rhoda e Louis. Sono tutti loro? Sono uno e distinto? Non lo so. Ci siamo seduti qui insieme […] siamo separati, non siamo qui. Eppure non riesco a trovare un ostacolo che davvero ci divida. Non c’è divisione tra me e loro. Mentre parlavo di loro sentivo: ‘Io sono voi’. La differenza, cui diamo tanta importanza, l’identità che tanto febbrilmente amiamo, era superata.”
L’eterno ritorno prosegue, ma ormai non ci sono più ostacoli alla possibilità di una persona di capire il suo prossimo, di essere con lui e come lui. Con la perdita dell’individualità ogni memoria è condivisa, non solo quella di amici e conoscenti, ma di tutta l’umanità, di ogni animale, di ogni pianta. E così anche le emozioni. Quando subentra il dubbio che questa condivisione sia solo un’illusione, e che ciascuno resti ancora diverso e disperso, ecco arrivare la morte, massimo comune denominatore di ogni espressione vivente, la letterale ultima spiaggia verso cui ciascuna esistenza è diretta e che, una volta arrivata, cambia ogni tempo al passato.
“Le onde si ruppero a riva.”