La Risiera di San Sabba

La Risiera di San Sabba

Tutti coloro che non intendono chiudere gli occhi di fronte agli orrori dei regimi totalitari sono coscienti dei crimini commessi nei vari campi di concentramento (lager, gulag e simili); dei milioni di individui uccisi tra ebrei, omosessuali, cristiani, afroamericani e in generale tutti coloro che non erano graditi al regime di turno.

Quello che però può capitare è di percepire questi fatti come lontani, come qualcosa che non ci riguarda, ci dispiace sì, qualche giorno all’anno condividiamo su Facebook dei post che richiamano questi fatti, ma alla fin fine ce li lasciamo alle spalle e dimentichiamo tutto fino al prossimo post o alla prossima giornata della memoria.

Un monito a non viverla con questo spirito è la Risiera di San Sabba, lager nazista sul nostro territorio, a Trieste. È un luogo che non molti conoscono, ma che ci ricorda quanto vicino a noi fosse la tragedia.

La Risiera, adibita a lager dal 1943 (subito dopo l’armistizio) al 1945, fu anche utilizzata come centro per lo smistamento di prigionieri verso altre strutture più grandi. Il responsabile della gestione del campo era Odilo Globočnik, membro delle SS, già coinvolto nello sterminio di quasi due milioni di ebrei.

Successivamente è stata utilizzata come centro di accoglienza dei rifugiati italiani dell’esodo giuliano-dalmata. Nel 1965 è stata dichiarata monumento nazionale dal presidente della repubblica Giuseppe Saragat.
Ora è sede di un museo dedicatole. Sono state mantenute il più possibile delle strutture originali e, per rievocare le sensazioni che il complesso trasmetteva, sono state apportate delle modifiche, come la costruzione di due strutture in cemento, le quali formano un passaggio che conduce all’entrata del campo, le quali hanno la funzione di trasmettere, per quanto possibile, il senso di angoscia dei prigionieri.

La sua pianta presentava cinque ambienti principali: le celle, il forno crematorio, la sala delle uccisioni, la sala delle croci e la cella della morte.

Le celle sono in totale 17, una di queste era utilizzata come magazzino e, spesso, da sala per il pestaggio dei prigionieri. In ogni cella si trova una singola struttura di legno che serviva da giaciglio per gli internati; nella stessa cella venivano ammassati fino a 6 prigionieri alla volta. Lo spazio è quasi sufficiente per una persona.

Il forno crematorio, che veniva utilizzato per incenerire i corpi dei prigionieri assassinati, non è oggi presente, perché, al momento della fuga il 29 aprile del 1945, è stato fatto saltare in aria (insieme al corpo centrale che ospitava la camera delle uccisioni) dai nazisti per cancellare le prove. Al suo posto trova ora spazio una scultura in metallo.

Ad esso era collegata la sala delle uccisioni, nella quale gli uomini delle SS hanno massacrato circa 3500 persone, con varie tipologie di esecuzione, dalla gassazione (asfissia tramite gas), alla fucilazione, passando per l’impiccagione, fino alla morte per percosse inflitte a mani nude e con un bastone di ferro. Oggi, la presenza di questo edificio è ricordata con una lastra di vetro che ne copre il perimetro e con una lastra commemorativa per le vittime.

La “cella della morte”, invece, è un locale angusto che veniva utilizzato come deposito di cadaveri e spesso anche di prigionieri ancora vivi in attesa di essere giustiziati.

L’ultimo ambiente che andiamo ad analizzare è quello che oggi viene chiamata “la sala delle croci”. È parte delle rielaborazioni del museo. Infatti, è stata conservata solo la struttura in legno del corpo che ospitava i laboratori in cui erano obbligati a lavorare i prigionieri (che appunto richiama un insieme di croci), così da trasmettere un senso di mancanza e disperazione. È tutt’ora possibile distinguere i vari piani, dal momento che le porte di accesso sono state conservate.

Ma quindi? Perché andare? Perché visitare la Risiera?

Per non dimenticare che anche sul nostro territorio sono morte una miriade di uomini, donne e bambini. Per prendere coscienza della prossimità dei fatti, per non sentirli lontani, per tenere presente che anche il nostro popolo ha sia sofferto, sia commesso crimini.

Ma non per odiare. Se cercate un modo per sfogarvi, per prendervela con i responsabili del massacro, per mandare messaggi di odio, allora, vi prego, non andate.

Odiare significa dimenticare, l’odio non ha volto, travolge tutto, non guarda in faccia nessuno, brucia tutto, come il forno della Risiera. Onorate le vittime con l’amore, l’odio le ha già uccise, non infangate la loro memoria odiando. Ne hanno già passate abbastanza, fatele riposare in pace.

Il museo della risiera ha un ambiente che presenta diverse targhe commemorative, i vari gruppi le hanno dedicate ai loro morti. Nessuno ha affisso una targa con messaggi di odio. L’odio è il primo passo per una via che porta al ripetersi delle tragedie che la risiera ci ricorda.

La memoria è paziente, non lascia indietro nessuno. Con la memoria si impara a fare tesoro degli errori, con l’odio si dimostra di non aver capito nulla.
Questo vi valga sempre, ogni giorno, quando starete odiando, ricordatevi che state dimenticando.

E, mi perdonerete la banalità, chi dimentica è complice.

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