Al netto di temporanei momenti di crisi e passeggeri disamoramenti di pubblico, il teatro è un’arte viva. La sua essenza sta nell’azione scenica, nel movimento, nel suo continuo avvicinarsi e discostarsi dall’esperienza quotidiana. Come ogni altra forma di espressione artistica è realizzata da uomini per altri uomini; la sua più distintiva caratteristica, la sua più grande debolezza e insieme il suo unico punto forza, sta nel fatto che lo strumento comunicativo utilizzato è esclusivamente umano – senza essere coadiuvato da nessun altro elemento esterno. Il teatro nella sua forma essenziale è un fenomeno generato dalla sinergia di attore e pubblico, laddove uno agisce la scena e l’altro ne è spettatore. Esistono molti orpelli a corredo di questa equazione minima, e in alcuni casi sono fondamentali per il suo buon risultato. Tuttavia senza queste due colonne, attore e pubblico a coabitare uno spazio, non esiste teatro; la loro necessità è assoluta e indiscutibile.
Il teatro è dunque composto da almeno due elementi, ed entrambi sono variabili umane. Quando mi trovo di fronte a un quadro, sto ammirando l’opera di un uomo ma non l’uomo stesso; una pittura non si emozionerà nello starmi di fronte. Quanto sarebbe più facile che il drammaturgo affidasse le sue parole alla pagine scritta invece che ad un attore; eviterebbe il rischio che allo spettatore arrivino battute sbagliate, eppure lo condannerebbe alla solitudine che affligge il lettore, gli delegherebbe la responsabilità di fruire della sua arte nella maniera che più gli piace. Quante volte abbiamo abbandonato un libro a metà? E quante volte siamo invece usciti dal teatro a spettacolo in corso?
Il momento teatrale è quello in cui artista e pubblico si liberano delle proprie individualità. Poco importa che si definiscano attore e spettatore, officiante e fedele, oratore e platea: c’è sempre una condivisione fisica e mentale tra le due variabili umane.
Ciò che fa la differenza è come avviene questo incontro, quale preparazione rende possibile alzare il sipario per partire. La metafora del viaggio viene utilizzata spesso per descrivere l’atto d’arte e ci adegueremo: il punto di partenza di ogni spettacolo teatrale, la nascita ufficiale, è il debutto.
Recentemente questo sito ha seguito con attenzione e dovizia di particolari un debutto nello specifico, quello dei Birbanti in “La Dolce Confusione“. È stato un reportage interessante, quello portato avanti nel corso degli scorsi mesi, perché ha messo in luce un aspetto cruciale e spesso sottovalutato in ogni spettacolo: la produzione. Prima della messa in scena, del debutto che finora abbiamo considerato punto di partenza per la vita dello spettacolo finito, c’è sempre un sommerso lavorio di accumulo dei materiali, di limatura delle imperfezioni tecniche e stilistiche, di allestimenti e smantellamenti contenutistici ed estetici. Ogni spettacolo è in realtà un iceberg di cui lo spettatore riesce a percepire solo una parte, quella che sporge. Ogni debutto è sia una partenza sia un arrivo, in piena coerenza con l’etimologia della parola, dal francese “debùt“, ciò che sta in punta. E che fa da ponte tra un punto ed un altro, tra una modifica e una messa in scena. In mezzo, tanto lavoro. Ecco cosa auguriamo quindi ai debuttanti dolcemente confusi e ai Birbanti tutti.
Tanta fatica, e che ogni volta sia un nuovo debutto!
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