Atto V – Michele
Aereoporto John Fitzgerald Kennedy – due mesi dopo.
Il buio lentamente si è espanso, è iniziato a scendere, e la luce si è fatta sempre più fioca. I colori più cupi. Come se il mondo fosse illuminato solo da candele troppo corte. Con poca cera rimasta. Emmanuelle ha deciso di rientrare in Italia. Con un mese di anticipo. Vuole rivedere i suoi genitori, la sua casa, la sua Lione, un’ultima volta. L’ansia che sia il suo ultimo giorno di luce ormai la divorava ogni sera, prima di addormentarsi, come un subdolo veleno che ogni giorno riprendeva a fare effetto a partire dal tramonto.
Mathias le restituisce la valigia con un sorriso dal retrogusto un po’ amaro.
– Ci vediamo presto. –
Frase di circostanza, canzone banale.
L’abbraccio però è di quelli sinceri.
– Fortuna che sei quello creativo. Ragazzi, quanto spero di rivedervi… –
Non fa in tempo a finire la frase che le balena un pensiero nero. Le parte un piccolo singhiozzo, oltre a una piccola lacrima.
Michele sdrammatizza.
– Tanto ai concerti con me ci devi venire comunque.
– Basta che non mi porti ancora ad ascoltare Zaz che non la sopporto più…
Poi tocca a Ginger. Un bacio lungo e appassionato. Una promessa di raggiungerla in Francia al più presto. Una promessa di aspettarla. Un abbraccio infinto. Come se non si volessero staccare mai più. I baci più veri delle nostre vite ce li scambiamo negli aereoporti, pensò distratto Mathias. Poi la convinse a partire o avrebbe perso l’aereo.
Un ultimo sorriso, un cenno con la mano, poi l’onda di capelli nocciola le copre il volto e la fa sparire, lontana dagli altri ragazzi.
Senza le due ragazze, la vita nell’appartamento a Brooklyn cambiò radicalmente. Gli equilibri si stravolsero. Si riprese a fumare in casa e a non lavare le stoviglie. La vita maschia riprese il sopravvento ma in generale gli umori si fecero più cupi. Michele aveva sì parzialmente ricostruito il suo passato grazie alla sorella ma non aveva in alcun modo ripianificato il suo futuro. Semplicemente, non sapeva che fare della sua vita. Mathias viceversa era molto impegnato: aveva trovato un cast e stava facendo le prove, stava lavorando in un pub ma era ancora rinchiuso in una ragnatela di dubbi e paure.
– Tra un po’ mi scade il visto e devo rientrare in Francia, come faccio a tornare subito? Non ho tutti questi soldi da parte… –
– Senti ma non puoi farti fare un visto lavorativo da Gary? Con tutti gli agganci che ha quello…-
– Gli ho chiesto anche troppi favori, non mi va. –
– Sposati quell’attrice, così poi avere il visto per motivi di famiglia. –
– Ci sono uscito tre volte, non ti sembra di esagerare? –
– Il regista e l’attrice, che cliché… Banale. –
– Si forse è un po’ banale ma a me lei piace, va bene? Tu piuttosto, la vuoi smettere di passare le giornate sul divano? Va bene che non hai voglia di lavorare ma almeno fai qualcosa! –
– Ho visitato la città, ho fatto dei disegni, sono stato al pub da Gigi, ho tirato su una ragazza, che altro devo fare qui a New York? –
– E allora viaggia! Hai i soldi da parte, visita altre città! Gira gli Stati Uniti! –
– Ma qui ci sei tu, c’è mia sorella… –
– Va bene, va bene! Fai come vuoi… –
– Dove vai? –
– Al pub… –
Al Gigi’s l’atmosfera era la solita. Irlandesi e italoamericani. Americani e turisti. Due ragazze in età da college, un rappresentante di cinture, un uomo di Wall Street e un cinese in coma: tutti con una pinta in mano. Gigi al bancone spinava IPA e Lagers locali senza sosta.
– Allora, mangialumache, come te la passi? –
– Ciao mafia, non male, tu? –
– Non mi lamento, non mi lamento. Come va con lo spettacolo? –
– Bene, abbiamo iniziato le prove, tra due mesi siamo pronti. Solo che io tra uno dovrei tornare a Parigi. –
– Le lesbiche come stanno? –
– Beh, la mia amica è partita e l’altra la raggiunge tra un po’. Forse. –
– Quanto mi sarei tuffato volentieri lì in mezzo! –
– Bene, sì, immagino. –
– Che c’è? Sei andato in fissa con quella squinzia con gli occhiali. –
– Sì, la squinzia con gli occhiali, si chiama Lily e mi piace sul serio. –
– Ah, un altro sul sentiero della rovina. Vuoi provare una cream ale speciale? –
– Versa, versa. Senti, tu non ti sei mai sposato, vero? –
– No. Non era il mio genere di cosa. Si capisce, eh? –
– Eh, sì. –
– Ma che hai? –
– Niente, è un messaggio di Gary… Vuole che vada da lui. –
– E allora corri. –
– Sì ma che roba, il suo ufficio a Manhattan non è comodissimo da qui e ogni volta che mi chiama mi tocca correre. –
– Dovrai farci l’abitudine. –
– Non credo che starò qua a lungo. –
– E perché? Questa città è fatta per te. –
A volte gli uomini del pub hanno più ragione dei filosofi.
– Grazie mafia. –
– Di nulla. Spero riuscirai a scoprire le gioie di un bidet un giorno. –
Mathias si tracannò quasi tutta la birra alla goccia. Non voleva far aspettare Gary ma il viaggio era quasi di un’ora.
– Ogni volta che ho voglia di qualcosa di caldo sono sempre contento di venire a bere la birra da te. –
– Se in città vedi Scarlett dille di venire a bersi una cosa qui. –
Michele era a casa a bere tè con sua sorella. Lei parlava di argomenti inutili un po’ allarmata. Lui la ascoltava ma sentiva che qualcosa bolliva in pentola.
– Allora? Perché volevi parlarmi? –
– Per due motivi… Il primo era che ho parlato con un mio amico al dipartimento d’immigrazione spiegando un po’ la tua situazione e… Beh, potresti restare qui ancora per un po’ con un visto di visita familiare, considerando che sono la tua unica relative ancora in vita. –
– Benissimo, no? –
– Sì… Beh, la seconda cosa è che dovrei trasferirmi per lavoro a San Francisco. –
– E da quando? –
– Beh, più o meno… Da subito. –
Atto VI – Mathias
Il freddo ufficio di Gary metteva sempre Mathias un po’ in agitazione. Gli sembrava così strano che dietro quella facciata da uomo d’affari dell’alta finanza, dietro quelle cravatte e quei biglietti da visita, dietro quei nove schermi di computer e dietro quella scrivania ci fosse una persona tanto appassionata di vita e colore.
– Ti va un bourbon? –
– Sono appena le otto… –
– Dai, poi ti porto a mangiare una bistecca… –
Aggiungere alla birra il bourbon a stomaco vuoto non sembrava una grande idea a Mathias ma sul momento non seppe rifiutare.
– Sei qui per il piano di comunicazione? Lo so che non ti ho ancora mandato nulla ma…
– No, non ti ho chiamato per il teatro. –
– Ah, no? E per cosa? –
– Senti…Oh cazzo, non è facile. –
– Dai, dimmi! –
– Ok, senti, so che Mary è in città e vorrei vederla. –
– Allora chiamala. –
– No, senti, parlaci tu. –
– Io? Ma se ci sei stato insieme tutto quel tempo, piantala. –
– Raccontale come sono diventato, convincila che ne valgo ancora la pena. –
– No. –
– Non voglio chiamarla. –
– Senti, io ti ho aiutato, ora tu aiuta me. –
– Va bene, senti…La inviterò a vedere una prova. Tu vieni in sala prove, sei il produttore in fondo, sei legittimato a stare lì. Così sembrerà casuale. –
– Grazie. Sei un amico. Ti devo un favore. –
– Ah, non dirlo, che mi servirebbe davvero. –
– Ah sì? Dimmi pure allora. –
– Beh, il mio visto turistico scade tra trenta giorni e… –
– Ahi… Capisco. Beh, vedremo quello che si può fare. Sai, ora con Trump… –
– Come non detto, lascia perdere. –
– Ma no, non ho detto questo. Solo non sarà semplicissimo. Probabilmente dovrai comunque tornare a Parigi e poi venire qua. –
– Quello non è un problema. –
– Perfetto. Allora, godiamoci questo vecchio Tennesse e andiamocene a cena! –
Mathias tornò a casa quella sera tardi e completamente ubriaco. Trovò Michele dormiente sul divano di fronte ad una pessima serie tv. Con Jane non aveva ancora la confidenza per chiamarla a quell’ora per raggiungerlo ma aveva una gran voglia di vederla. O forse solo di parlare con qualcuno. Aveva uno straccio di progetto di vita di fronte a sé per la prima volta e questa cosa lo rendeva particolarmente nervoso. Si buttò a letto spinto più dalla nausea che dal sonno.
Il risveglio fu di quelli traumatici, come sempre gli capitava dopo una sbornia. Bevve un litro d’acqua e raggiunse Michele in cucina.
– Ciao Math. Novità? –
– Tantissime, ma ti dirò poi… Tu? –
– Beh, oggi vado all’ufficio del dipartimento d’immigrazione, forse riescono ad allungarmi il visto di altri tre mesi. Ah, poi mia sorella si trasferisce a San Francisco. –
– Ah bene. Cioè quindi che farai? Starai con me o seguirai lei? –
– Beh, dipende anche da te. Cosa farai? Il tuo visto scade tra meno di un mese. –
– Penso che tornerò qua con un visto lavorativo regolare. Ci sta pensando Gary. –
– Ah. Allora sì, mi sa che mi toccherà decidere. –
– Certo che questa casa è proprio bella… –
– Già… Ci mancherà in ogni caso. Qualunque cosa succeda dobbiamo andarcene di qui, lo sai. –
– Sì, lo so, lo so… –
Sala prove, qualche giorno più tardi.
Gli attori si muovono bene. Hanno ritmo, che è un po’ un’ossessione per Mathias, un po’ perché ha imparato così dagli altri registi, un po’ perché il teatro oggi è così. La drammaturgia è buona, i tempi comici anche. Sembra quasi che “Love, after all” sia nato per essere stato rappresentato in America, più che in Francia. Gli attori poi sono bravi. Robert, che interpreta il dongiovanni Picasso, è un buffo ragazzo rosso che ricorda Ed Sheeran. Chi l’avrebbe mai detto. Poi c’è la sua Lily, che interpreta la sorella vegana della protagonista, che si muove sul palco con una grazia che mai aveva visto in un’attrice. È la sua creatura e sta prendendo vita. Dall’altra parte dell’Atlantico. È la storia più bella della sua vita. Gary è in piedi in un angolo, elegantissimo, probabilmente è anche andato dal barbiere oggi. Per la sua Mary. Ogni tanto suggerisce qualcosa ma lascia al regista tutto lo spazio che deve. Mathias per un momento si sofferma a pensare a quanto deve a quell’uomo. Non sa che in realtà deve di più a una donna, una bellissima donna mora di quindici anni più grande di lui che sta entrando in sala prove in quel momento. Eh sì, forse se è lì è tutto merito di Mary. Lui non sa che le deve tutto ma inconsciamente le sta restituendo il favore. Come sta restituendo a Gary tutto quello che gli deve. I due ex si salutano in modo molto caloroso, onestamente felici. Si complimentano a vicenda, si trovano bene. Si siedono uno a fianco all’altro e seguono le prove insieme. Mathias scaccia i pensieri e torna a dirigere l’orchestra.
Alla fine delle prove, Gary inviterà tutti a cena. Uno dei suoi show off dei vecchi tempi. Tutto il cast. Siederà a fianco alla sua Mary e la farà ridere ancora. Poi la riaccompagnerà a casa. Non è mai troppo tardi. Mathias tornerà a Parigi il giorno dopo.
Il resto della storia è perso nei sogni. Non i sogni che si fanno di notte, quelli sono impossibili qui, perché New York non dorme mai. Qui i sogni si fanno di giorno. Si costruiscono, con fatica, sotto il sole e sotto la neve.
Al Gigi’s c’è un barista che racconta storie.
Racconta una storia d’amore tra una scrittrice americana di nome Ginger e una ballerina francese cieca di nome Emmanuelle, con la cornice romantica di Parigi.
Racconta la tragica passione tra un uomo di finanza con l’ossessione per il teatro e una viaggiatrice senza casa, divisi da un amore impossibile e uniti dalla speranza che non sia così. Perché quella tra Gary e Mary non è solo passione.
Racconta di Michele, il venditore di sogni, e di come sia riuscito infine a ripartire: non in aereo, ma in auto, attraverso gli Stati Uniti, in un viaggio verso la sorella ma in cerca di un futuro. Perché ricostruirsi il passato non basta. Perché prima o poi tocca ricominciare sempre.
Racconta del ritorno in America di Mathias, e di come alla fine ci sia rimasto a New York, di come abbia portato in scena il suo lavoro e di come nemmeno tre mesi dopo, insieme a Lily con la quale era andato a convivere, stesse già lavorando a un nuovo testo.
E racconta anche di quella volta in cui Scarlett Johansson andò a bersi una birra nel suo pub.