“Questo Paese non merita eroi”

“Questo Paese non merita eroi”

Immaginate di essere negli anni ’30 del secolo scorso. Immaginate di poter ballare lo swing in locali fumosi e affollati, immaginate di assistere all’inaugurazione dell’Empire State Building, di leggere sui giornali della cattura di Al Capone, immaginate che le dive del momento siano Greta Garbo, Marlene Dietrich e Ginger Rogers.

Adesso, però, immaginate di essere, sempre negli anni ’30, ma in Italia: da qualche anno si respira un’aria diversa, c’è una nebbia scura, una cappa nera che non permette di vedere bene i contorni di ciò che avviene nel nostro Paese; il governo ha deciso di bonificare le paludi dell’Agro Pontino, di imitare l’espansionismo colonialista europeo dei secoli scorsi e portare la guerra nella vicina Libia.

Sono gli anni della censura culturale, della messa al bando di libri e testi teatrali “libertini”, gli anni in cui gli italiani si accorgono del volto oscuro della Luna.

Sono gli anni della dittatura fascista. Ed è proprio in quest’atmosfera grigia, cupa, che si sviluppano i fatti de “Il giuramento“, l’ultimo lavoro di Claudio Fava, prodotto dal Teatro Stabile di Catania con la regia di Ninni Bruschetta. Le vicende che vediamo sul palco sono incentrate sulla figura di Mario Carrara, il prof. Mario Carrara, medico legale e docente universitario nella Torino dei primi anni ’30. Il Professore vive una vita asciutta, dedita unicamente all’insegnamento e alla scienza, tanto da flettere completamente ad essa il suo essere uomo: solitario, inacidito, indifferente ed alieno rispetto alla società che ha attorno e alle vicende che percorrono il “mondo fuori” dalle aule universitarie.

Sono i primi anni della dittatura fascista, gli studenti sono come soldatini col coltello legato saldamente alla cintura e la tessera dei Gruppi Universitari Fascisti sempre in tasca, i professori che mormorano sottovoce nei corridoi commentando con discrezione i proclami del regime, il finto perbenismo della società civile, la politica dai toni goliardici e sfacciati.

Questo è il mondo con cui il prof. Carrara rifiuta di confrontarsi, il mondo che tenta in tutti i modi di tenere lontano dalla sua vita, chiudendo ogni contatto con l’esterno. Sarà proprio questo mondo, attraverso la richiesta di un giuramento di fedeltà e adesione al regime voluta proprio da Mussolini, a bussare sempre più insistentemente alla sua porta, fino a trascinarlo di fronte alle sue responsabilità, alla necessità di scegliere da che parte stare: con o contro il regime.

Nonostante “questo Paese non meriti eroi”, la sua scelta farà storia.
Il testo, pur trattando temi di evidente impegno sociale non adatti a tutti i palati, risulta assai gradevole e stuzzica continuamente la curiosità dello spettatore: tutti ipersonaggi, anche quelli ai margini, risultano ben tratteggiati; la narrazione si sviluppa con coerenza e costanza, con la prima parte che regala qui e là anche accenti di leggerezza che ben presto lasceranno spazio a toni più cupi man mano che il dramma si va dipanando, fino al pieno compimento della tragedia.

Le attente scelte registiche di Ninni Bruschetta contribuiscono alla perfezione a dare il giusto ritmo al testo: l’incalzare del dramma è reso splendidamente anche dai cambi scena fatti sempre in luce e senza sospendere la narrazione, non concedendo tregua allo spettatore.

La scenografia, essenziale, è curata nei minimi dettagli così come i costumi, entrambi firmati da Riccardo Cappello; il comparto luci, ad opera di Salvo Orlando, regala un’atmosfera ovattata che guida sapientemente l’occhio dello spettatore lungo il continuum di questo atto unico; “menzione d’onore” per le musiche originali composte da Cettina Donato, compositrice, arrangiatrice e pianista siciliana.

Nel ruolo del prof. Carrara un intenso David Coco, capace di trasmettere egregiamente al pubblico il vissuto interiore del personaggio; fra gli interpreti, tutti eccellenti, spiccano Antonio Alveario nel ruolo del collega “socialista” di Carrara, e Stefania Ugomari Di Blas, l’irruenta Tilde, assistente del professore, che si prenderà cura di lui, unico appiglio di umanità nella vita del protagonista.

La sensazione a fine spettacolo è di aver assistito ad un dramma pienamente compiuto, un dramma che consegna nelle mani dello spettatore molto materiale su cui riflettere e discutere, un altro punto di vista con cui leggere la società contemporanea a partire dagli strascichi che il ventennio fascista ha lasciato nei nostri tempi.

Il mio consiglio è quello di andare a vederlo con la consapevolezza di non poter essere semplici spettatori ma, come per il protagonista, di dover operare una scelta di campo, uscire dalla propria zona di comfort e prendere posizione su un tema solo apparentemente lontano dai nostri tempi.

Dopo una sosta al teatro Menotti di Milano a fine febbraio, lo spettacolo è attualmente in tour in molte città d’Italia; maggiori informazioni potete trovarle sulla pagina dedicata allo spettacolo all’indirizzo: http://www.teatrostabilecatania.it/tsc/il-giuramento

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