“Casa di Bambola”, l’opera del 1879 di Henrik Ibsen, all’epoca in cui venne rappresentata provocò un acceso scandalo: il pubblico borghese di allora non poteva accettare l’ “esasperato femminismo” di un autore che attraverso la sua protagonista rompe in modo radicale gli schemi femminili tradizionali.
Nora, per affermare sé stessa, abbandonerà tutto ciò che ha di più caro: “la casa, il marito e i suoi figli”.
Oggi, 8 marzo 2018, mi ritrovo a pensare che ancora questo testo è capace di suscitare molti punti di domanda e anche molte critiche nelle menti di chi giudica e interpreta i personaggi secondo i propri valori.
Proprio in occasione della giornata internazionale della Donna, desidero parlare di un’altra donna estremamente e paradossalmente libera ed emancipata, che spesso viene criticata anche dalla nostra società contemporanea: Anna Karenina.
Il punto di partenza del confronto tra la personalità di Anna Karenina e di Nora Helmer è il concetto di governare la propria vita.
I percorsi di queste due donne sono inversi.
Inizialmente la prorompente vitalità di Anna, col passare del tempo e le tante delusioni, lascia il posto all’ isolamento ed agli incubi, che finiranno per dominarla completamente, facendole perdere la serenità e la ragione. Nora, invece, che inizialmente non ha una vera e propria personalità, finirà con il prendere in mano le redini della propria vita.
Per quanto riguarda Anna Karenina; nei primi momenti la vediamo in tutto il suo “essere donna“: è stimata e tutti la vogliono al loro fianco.
In seguito capisce di non amare più suo marito e gli confessa l’amore per l’ufficiale Vronskij.
Il marito Karenin, tuttavia, non le concederà fino alla fine del romanzo il divorzio e la allontanerà completamente dal figlio Sereza, una violenza intollerabile per una madre.
Le angosce di Anna iniziano nel momento in cui tutti la considerano autrice di un’azione vergognosa e nemmeno la famiglia del nuovo compagno, che prima la nobilitava, accetta più di accoglierla benevolmente.
Anna è costretta a trascorrere le sue giornate in casa, in solitudine. L’unica “compagnia” che ha è la servitù e la sua nuova bambina Annie, che ha avuto da Vronskij ma che legittimamente ha il cognome e appartiene a Karenin.
Nelle sue lunghe giornate si alternano l’attesa di Vronskij e la paura di essere rimpiazzata da lui con un’altra donna. Questi sentimenti turbano il suo animo e non le permettono di essere serena.
L’ isolamento, le ansie, le paure, le angosce, gli incubi nelle notti insonni accompagnate dall’assunzione di diversi farmaci si manifestano al ritorno dell’ufficiale e danno origine a liti che poi si risolvono in breve.
Anna cade in depressione.
È completamente sola.
È una donna tormentata e vive una situazione pesante da sostenere, ha sulle spalle un peso costante di pressioni psicologiche; viene sfiorata più volte dal pensiero della morte come risoluzione di tutti i problemi. Tuttavia il sogno minaccioso del vecchio contadino, che rovista in un sacco borbottando, con l’erre moscia, alcune sconnesse parole in francese “Il faut le battre le fer, le broyer, le pétrir” le rivela cosa fare: distruggere se stessa per espiare la sua colpa proprio come il contadino vuole battere, frantumare, lavorare cioè distruggere il ferro.
Anna si suicida alla stazione buttandosi sotto a un treno proprio come un uomo che aveva visto al suo arrivo a Pietroburgo quando era ancora una donna felice che pensava soltanto al bisogno d’amore e al desiderio di esprimere la sua sensualità.
Nora, giovane moglie di Torvald Helmer, ci è presentata in modo infantile: allegra, sventata, superficiale e con un attaccamento particolare al denaro.
Nell’evolversi della storia, veniamo a sapere che Nora in passato ha commesso un’azione riprovevole e illegale. Tuttavia l’ha fatto per amore del marito, per salvare la vita di Torvald.
Ora Nora deve restituire i soldi e non vuole che il marito venga a conoscenza della situazione.
Ovviamente nella finzione cresce sempre di più il sentimento di ansia fino a che il marito, dopo aver scoperto che la sua giovane moglie ha preso soldi in prestito dalla banca, la umilia e si mostra preoccupato di salvare se stesso e le apparenze piuttosto che proteggerla e perdonarla.
È in quell’attimo che Nora capisce di essere stata per otto anni la bambola con il compito di svagare il marito, che con lei non ha mai parlato di cose serie. Lei stessa si definisce una bambolina “passata dalle mani del padre a quelle del marito”, lei è sempre stata allegra… Mai felice.
Nora decide quindi di lasciare Torvald e i figli e di partire immediatamente.
Il messaggio che Ibsen vuole trasmettere è che prima di tutto vengono i diritti di noi stessi proprio come afferma la nostra protagonista:
“Helmer: Abbandonare il tuo focolare, tuo marito, i tuoi figli! Pensa, che dirà la gente!
Nora: Questo non mi può trattenere. Io so soltanto che per me è necessario.
Helmer: Oh, è rivoltante! Così tradisci i tuoi più sacri doveri?
Nora: Che cosa intendi per i miei più sacri doveri?
Helmer: E debbo dirtelo? Non son forse i doveri verso tuo marito e i tuoi bimbi?
Nora: Ho altri doveri che sono altrettanto sacri.
Helmer: No, non ne hai. E quali sarebbero?
Nora: I doveri verso me stessa.
Helmer: In primo luogo tu sei sposa e madre.
Nora: Non lo credo più. Credo di essere prima di tutto una creatura umana, come te… O meglio, voglio tentare di divenirlo. So che il mondo darà ragione a te, Torvald, e che anche nei libri sta scritto qualcosa di simile. Ma quel che dice il mondo e quel che è scritto nei libri non può più essermi di norma. Debbo riflettere col mio cervello per rendermi chiaramente conto di tutte le cose.”
Nora si libera così, ribellandosi ai diritti verso la famiglia che in ogni caso vengono dopo i suoi.
In questo modo, affermandosi, prende in mano le redini della sua vita e sarà pronta per il suo fantastico viaggio al fine di scoprire se stessa.
È riuscita a trovare le risorse dentro di sè per sapere cosa fare.
A differenza di Nora, Anna non è arrivata a vedere una via d’uscita ed è inimmaginabile come una donna come lei, in quella situazione e in quei tempi potesse uscire dalle continue pressioni; per questo, a mio parere, non si può giudicare con la nostra scala di valori due decisioni così radicali: da una parte, l’atto estremo del suicidio e dall’altra, l’abbandono del proprio focolare.
Per concludere questa mia riflessione di oggi, vi segnalo un appuntamento teatrale in tema, a cui non mancare: fino all’11 marzo sarà in scena al Teatro Menotti di Milano “Casa di Bambola”, con adattamento e regia di Roberto Valerio.
Il regista stesso interpreta straordinariamente Torvald e al suo fianco troviamo l’intensa Valentina Sperlì in un’interpretazione magistrale di Nora, a cui riesce a dare tutte le sfumature proprie della protagonista. Un cast d’eccezione, accompagnato dalla meravigliosa scenografia di Giorgio Gori, che è riuscito a mettere in scena un’autentica casa di bambola, una casa dai mille segreti: cassettini, armadietti e porte, ma anche una casa un po’ distorta e quasi soffocante…
http://teatromenotti.org/event/casa-di-bambola1-11-marzo-2-2/