Black Mirror 4: si poteva (e doveva) far meglio.

Black Mirror 4: si poteva (e doveva) far meglio.

Eravamo tutti in attesa. Negli ultimi due anni chiunque parlasse di Black Mirror si chiedeva se la distopia immaginata da Charlie Booker ci avrebbe, per l’ennesima volta, tolto il fiato dopo le prime tre inquietantemente belle stagioni.
A far da eco a questa attesa, i successi ottenuti recentemente da serie come “Handmaid’s Tale” e “The Man in the High Castle” (indovinate chi ha scritto il libro da cui è nata la serie? Si proprio lui. Philip Dick, l’ispiratore di Charlie Booker).

E invece…
È utile premettere che dal punto di vista registico Black Mirror ha mantenuto altezze notevoli, coerenti al budget messo a disposizione dalla nuova produzione. Le trame sono ben strutturate, le riprese si avvalorano di prodotti tecnicamente impeccabili e quello che ne viene fuori risulta gradevole. Ecco, gradevole: questa è la parola chiave per la intendere la distanza che separa la quarta stagione dalle precedenti, soprattutto le prime due.
Non si raggiungono, anzi nemmeno ci si avvicina alle vette raggiunte con “White Christmas”, “The Waldo Moment ” o “The Entire History of You”.

Perché?
C’è chi dice che il passaggio a Netflix abbia “snaturato” Black Mirror.
La produzione americana ha probabilmente fatto sentire troppo la sua presenza, dirigendo gli episodi verso qualcosa di più “safe”, per un contesto meno di nicchia di Channel 4. E questo non riguarda solo la scelta degli attori, ma anche del metodo in genere.

Ma soprattutto il punto di vista di Brooker sulla tecnologia viene usato come raccordo narrativo e non come premessa alla storia.

Non è presente la stessa forza e credibilità delle altre stagioni, dove gli episodi lasciavano un senso di inquietudine e retrogusto amaro, dove la tecnologia creava una sorta di distopia in cui intrappolava l’individualità delle persone. Dove la critica del presente, tramite l’esasperazione di aspetti della vita virtuale e tecnologica del nostro tempo, era incredibile e ti lasciava veramente pensieroso.

L’iperbole interna al racconto, il carattere smaccatamente inadeguato, diventa una parodia piuttosto che una satira sulle problematiche del presente, diventa un espediente per portare enfaticamente all’estremo le dissonanze dell’attualità.
Dei sei episodi, l’unico che riesce a sfiorare la bellezza di quelli delle precedenti stagione è “The Black Museum”.

Da qui, un piccolo resoconto degli episodi (SPOILER ALERT, cpne citiamo alcuni qua e là quindi sconsigliamo di leggere a chi non l’ha ancora vista):

– “USS Callister” mi è sembrato a tratti un episodio riempitivo. E’ il primo della serie, ma poteva essere l’ultimo, il terzo, il quinto o poteva tranquillamente non esserci affatto. La tecnologia, o meglio la distopia legata alla tecnologia, è in secondo piano (quando non in terzo) per lasciare spazio al “sadismo” del protagonista. (1/5)
– “Arkangel” è l’unico episodio che ha come tema centrale la tecnologia e le eventuali distorsioni che l’utilizzo sbagliato di una tecnologia utile può comportare. Tuttavia la conclusione sembra piuttosto forzata e la reazione della protagonista quanto mai eccessiva. (2/5)
– “Crocodile” non ha la minima coerenza di trama. Un incidente le cui conseguenze, dopo diversi anni, danno il via ad una serie di eventi che, in un gigantesco effetto domino, coinvolgono le vita di più persone. Ricordando a tratti l’episodio “The Entire Story of you”. Tuttavia, guardando l’episodio, si nota che l’azione che dà il via all’effetto domino, è assolutamente gratuita e senza contesto. (2/5)
– “Hang the DJ” è semplicemente una ricostruzione di “San Junipero” della terza stagione, ma in un’altra realtà. Inoltre, personalmente, a tratti l’ho trovato piuttosto seccante. Ma è intrigante l’idea di una realtà parallela controllata da un sistema centrale. (3/5)
– “Metalhead” potrebbe essere un episodio con molto potenziale. Ottima l’idea di girarlo in bianco e nero. Da incorniciare la colonna sonora con “Golden brown” degli Stranglers. Tuttavia l’episodio è fine a se stesso. (2/5)
– “The Black Museum” è l’unico episodio che va oltre la sufficienza. Girato con storie su più livelli (come “White Christmas”) con dei divertenti omaggi ad alcune storie precedenti. (4/5)

Nell’attesa quindi di una quinta (probabile) stagione, nel complesso la serie è comunque consigliata ma non entusiasmante.

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