Dopo Marseille in Francia, Las Chicas del Cable in Spagna e Suburra in Italia, Netflix ha lanciato la sua prima serie tedesca, in contemporanea con un’altra serie tedesca in visione su Sky (Babylon Berlin).
La storia. A Winden, cittadina del nord della Germania, un suicidio (quello di Micheal Kahnwald) e la scomparsa di alcuni ragazzi, in particolare la scomparsa di Mikkel Nielsen, il figlio del poliziotto Ulrich Nielsen, sconvolgono la tranquilla vita del paesino e dei suoi abitanti. Tuttavia la scomparsa di alcuni ragazzi non è una novità per Winden. Ben 33 anni prima, esattamente nello stesso giorno della scomparsa del figlio, Ulrich aveva visto scomparire suo fratello Mads.
Sono diverse le domande che DARK istiga fin dalle prime battute. Interrogativi angoscianti e oscuri che appassionano immediatamente lo spettatore.
La narrazione, seppur dinamica, richiede un livello di attenzione elevatissimo, poiché ogni singolo indizio è necessario per poter comprendere l’episodio seguente, considerando che la storia si sviluppa su ben tre livelli temporali.
Ogni dettaglio della serie non è altro che il pezzo di un puzzle, o meglio l’ingranaggio di un complesso e misterioso orologio, che vede come interpreti assoluti quattro famiglie. Famiglie a prima vista assolutamente diverse, ma (piccolo spoiler) con un passato nascosto e in cui le persone sono connesse alle altre in una intricata tela.
Un circolo vizioso che prosegue da diversi decenni e che inizia contestualmente alla scomparsa di un bambino.
Nei primi due episodi, quelli introduttivi, la costruzione della trama è capricciosa, a tratti spossante, poiché, come ho detto, richiede uno sforzo di applicazione eccessivo per non perdere il filo nel dedalo in cui gli autori sembrano anelare che lo spettatore si perda.
Tuttavia… Ci si rende immediatamente conto che in DARK tutto ciò che compare ha un duplice valore, e che sicuramente rimanderà ad altro. Con le sue atmosfere oniriche e disturbanti sembra che in DARK ci sia un’entità sempre in scena.
Incorporeo, bidimensionale, capace di generare empatia in chi guarda, generando un costante senso di malessere, di perplessità e un velo di terrore inspiegabile.
Ad accentuare tutto, le atmosfere scure e fumose, vero capolavoro del direttore della fotografia Nikolaus Summerer, ma soprattutto la colonna sonora composta da Ben Frost, e che diviene elemento fondamentale nella caratterizzazione.
Se da un lato non può fare a meno di apprezzare il legame indissolubile, in ambito narrativo, con Lost, dall’altro si spera in una piega diversa da quella presa dalla più nota serie.
Contemporaneamente la sua narrativa la rende un prodotto piuttosto apprezzabile, soprattutto per l’ambiente più fantascientifico che, gradualmente, affiora nelle puntate.
La domanda non è dove. La domanda non è come. La domanda non è chi. La domanda è quando.
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