Mindhunter è una serie prodotta e girata da David Fincher.
Conoscendo Fincher mi aspettavo, e non sono rimasto deluso, una serie “dal punto di vista del cattivo”, come in tutti i suoi film, basti pensare al Frank Underwood di “House of Cards”, a Mark Zuckerberg in “The Social Network” o Amy Elliott Dunne in “Gone Girl”, e ovviamente il Tyler Durden di “Fight Club”.
La serie trae ispirazione dal libro del 1995 “Mind Hunter: Inside FBI’s Elite Serial Crime Unit”, scritto da John E. Douglas, uno dei primi “profilatori” delle menti criminali in forza all’F.B.I.
La prima stagione è stata resa disponibile il 13 ottobre, racconta dell’importanza progressivamente ricoperta dalle “behavioural sciences” (scienze comportamentali) nelle procedure di riconoscimento e di arresto dei serial killer (parola che negli anni 70 non veniva utilizzata per i crimini seriali o sequenziali) all’interno dell’Fbi e del ruolo vitale ricoperto dalla psicologia nell’indagine, la cosidetta “profilazione”.
L’attore protagonista è il detective Holden Ford, interpretato dal bravissimo Jonathan Groff, agente/burocrate di medio livello dell’F.B.I. , che si divide tra le attività di ricerca presso Quantico e le attività da “agente” sul campo, come esperto di negoziazione.
Al suo fianco, abbiamo poi il suo collega e partner, Bill Tench, interpretato da Holt McCallany, che ha lavorato con Fincher sia in “Fight Club” che in “Alien”, la fidanzata Debbie, interpretata da Hannah Gross, dottoranda di sociologia all’Università della Virginia e che, ovviamente, subisce l’evoluzione del personaggio di Holden, ed infine la Dott.essa Wendy Carr, interpretata da Anna Torv, la psicologa di Boston che si unisce al team di ricerca inizialmente come consulente e successivamente in maniera permanente.
L’anima profonda di “Mindhunter” è legata al percorso psichico che il detective Ford intraprende nella mente degli assassini e di come la narrazione delle motivazioni degli efferati delitti commessi vada ad incidere, inevitabilmente, sulla vita personale dello stesso Ford.
I lunghi colloqui di Holden con i diversi serial killer sono il cuore pulsante della serie, il vero capolavoro.
Provare ad accompagnare il detective nei labirinti mentali di personaggi come Ed Kemper (interpretato magistralmente Cameron Britton) ci fa capire che quando si tratta di attraversare la psiche perversa di un omicida ciò che conta è l’empatia, il mettersi sullo stesso piano squilibrato della persona che abbiamo di fronte.
Ford – dunque lo spettatore – capisce che le sole bussole possibili per orientarsi nei percorsi della disumanità sono l’istinto, un’umanità profonda messa regolarmente e coscientemente a rischio, e soprattutto la già citata empatia.
“Mindhunter”, una delle serie da vedere durante l’autunno.
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