I libri sono creature ad attrazione variabile. Esistono libri che rifiuti subito, dopo aver sfogliato qualche pagina o un occhio buttato sulla quarta di copertina. Esistono, poi, libri che scegli di leggere dopo averci meditato un po’ su: tenendolo in mano, dubbioso, scruti e riscruti le pagine, cerchi le recensioni degli altri. Poi ti convinci e ti tuffi. Esistono, infine, libri per cui senti subito un’attrazione fatale. Come un colpo di fulmine, non capisci più nulla, non hai pace finché non stringerai quella copia fra le mani, finché non potrai tuffarti fra le righe e passare ore con quel nuovo amore.
Sentii parlare per la prima volta di Kazuo Ishiguro il giorno del Nobel. Confesso l’ignoranza, prima era per me un nome misterioso. Dopo l’annuncio andai a cercare su Wikipedia chi fosse e lì decisi che dovevo assolutamente averlo nella mia libreria. “Non lasciarmi” è arrivato dopo pochi giorni e dopo pochi giorni l’avevo divorato, restando anche una notte intera a leggerlo pur di scoprire il finale.
“Non lasciarmi” è una distopia dolce e inquietante incentrata sull’idea del progresso. Il progresso ha un prezzo e la nostra società è disposta a pagarlo, a patto che questo prezzo sia tenuto nascosto. La storia inizia in questo misterioso collegio nella campagna inglese dove vive Kathy, io narrante del libro che ripercorre la sua vita. Kathy vive la sua adolescenza come una ragazza qualsiasi insieme ai suoi amici Tommy e Ruth. La descrizione della quotidianità del collegio è tuttavia segnata dall’inquietudine e dal mistero su chi siano i tre ragazzi. Si intuisce rapidamente che vengono chiamati “donatori” perché una volta cresciuti saranno destinati a donare i loro organi. Allevati come batterie per essere usati al momento opportuno. Anche i tre ragazzi lo capiscono come tutti gli altri donatori e insieme crescono chiedendosi se esista o meno per loro una via di fuga, la possibilità di vivere come tutti gli altri. O se, al contrario, non c’è modo per sfuggire all’inevitabile destino che li attende e per cui sono stati concepiti.
Anche se cloni per le donazioni non esistono (ancora?), “Non lasciarmi” non può scorrere senza inquietare. Viviamo in una società progredita ed evoluta che ha raggiunto risultati senza precedenti. Viviamo più a lungo, abbiamo cibo tutti i giorni e in abbondanza, possiamo comunicare facilmente col resto del mondo senza più dover attendere mesi e mesi. Tutto ciò ha spesso un prezzo, (il consumo delle risorse del pianeta ad esempio) ma è un prezzo che siamo disposti a pagare purché la transazione non avvenga sotto i nostri occhi. Nessuno di noi è disposto a rinunciare ai derivati del petrolio ma in pochi accettano che le trivelle siano sotto il nostro sguardo. Prelevate il petrolio altrove, nell’oceano o nel deserto, e poi portatelo qui. Con tubi sotterranei, lontani dal nostro spazio visivo. Nessuno di noi è disposto a rinunciare a ciò che produce rifiuti, ma in pochi accettano la costruzione di discariche o inceneritori nella loro terra. E così via.
Sarebbe sbagliato però considerare “Non lasciarmi” come un atto di accusa verso il progresso. Ishiguro non giudica. Non attacca, non offre una morale. Lascia che la storia scorra fino all’epilogo finale. I dubbi restano aperti. Se è ingiusto il prezzo da pagare, è altrettanto ingiusto negare che oggi si viva meglio. Anche la rinuncia al progresso, comporta un prezzo salato da pagare. E allora, come uscire dall’inghippo? Come liberarsi dalla trappola?
Non troveremo in “Non lasciarmi” la risposta a questa domanda. Nessuna distopia d’altronde lo fa. Non trovate in “1984” la risposta al problema del totalitarismo. D’altro canto non è certo fornire risposte il compito di una distopia. La distopia apre una botola verso il baratro, mostrando al lettore del presente il fondo dove può precipitare, sperando che la storia -quella reale- prenda un’altra strada e quel baratro rimanga solo nelle opere di fantasia.
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