“Vinceremo tutto”: il calcio di Sua Emittenza

“Vinceremo tutto”: il calcio di Sua Emittenza

Se vivete in questo Paese da più di mezz’ora vi sarete accorti che il personaggio in questione ha avuto una discreta importanza nel nostro recente passato. Ecco: noi faremo finta che questo non sia successo. Noi ci occuperemo, raccontando una storia di calcio, ovviamente, dell’influenza che lo stesso personaggio ha avuto nella nostra cultura. Questa rubrica  vorrebbe raccontare tutte le volte in cui il calcio ha influenzato o rappresentato il folclore di un ambiente, di un periodo. Il proprietario del Milan impresse una svolta al calcio proprio perché rappresentava altri mondi; la sua storia si intrecciava profondamente allo spettacolo, al mattone, alla pubblicità. Innovazione e divertimento a basso consumo intellettuale erano le parole d’ordine. Fu così anche nel calcio, che poi cambiò, prendendo una delle sue svolte più importanti. La storia che segue è piena di intuizioni azzeccate, successi, una buona quantità di fortuna: si potrebbe trarne l’impressione di un racconto quasi agiografico, ma non è affatto nostra intenzione.

Dal Far West degli Anni ’80, dalla “Milano da Bere”, dalla mondanità spensierata di quei tempi emergeva Silvio Berlusconi che, fra Milano 2 e il “Drivein”, aveva cambiato il modo di far divertire la gente ed esplorato nuovi lidi nel campo del marketing e dell’immagine. Allora non era ancora noto come Cavaliere (tanti sostengono che a creare il fortunato soprannome giornalistico sia stato proprio un giornalista sportivo: Gianni Brera) e i giornali lo chiamavano ironicamente “Sua Emittenza”. Gli affari andavano benone, gli aiutini politici da ambienti socialisti non mancavano. Nelle sue imprese cercava di capire cosa piacesse a un pubblico ampio. Un esempio: se la Rai era terribilmente noiosa, ingessata, e le piccole Tv private cercavano ascolti proponendo spettacoli pornografici, forse la strada giusta era una Tv all’americana che mostrasse delle soubrette belle ma svestite il giusto, in modo che fosse molto più divertente della Rai ma allo stesso tempo potesse guardarla tutta la famiglia, senza vergognarsene. Il pubblico apprezzò.

Appena due anni prima di comprare il Milan, nell’84 ci fu il famoso “Decreto Berlusconi” che firmò Craxi per salvare le televisioni dell’amico. Liberalizzare l’etere era probabilmente giusto ma buona parte degli osservatori non accettò la palese rilevanza ad personam che ebbe il decreto. La battaglia sui diritti televisivi arrivò ai suoi massimi livelli e Berlusconi capì che più sarebbe stato popolare fra la gente comune più potere avrebbe avuto nel suo ruolo di perenne outsider in ascesa. Ora bisognava cercare altri mondi in cui spiccare che fossero estremamente popolari e amati dalla gente. Il calcio era la risposta più immediata. Fonti del tutto credibili (anche Mazzola) raccontano di come avesse provato a comprare l’Inter per due volte senza riuscirci. Berlusconi non sarebbe stato un presidente come Moratti, un innamorato dei propri colori che mettesse enormi quantità di soldi nella propria squadra per grande passione. Voleva semplicemente una squadra con molti tifosi da rendere grande. Il modo in cui Berlusconi comprò il Milan è un romanzo a sé, notevolmente articolato. Di certo alla fine dell’85 Giussy Farina è circondato dai creditori che battono cassa, cominciano a mancare 3 miliardi per pagare gli stipendi. Dopo varie trattive sembrava fatta il passaggio al gruppo Cesarani che però sul più bello ritira l’offerta. Qualcuno l’ha convinto. Per dieci giorni è il silenzio; i luoghi e i termini della trattativa non si conoscono. Di sorpresa, nel Gennaio ’86 Berlusconi annuncia di aver comprato il Milan. Fra gli altri, Rivera decide di andarsene dalla società.

Berlusconi vuole una squadra-azienda. E’ convinto che la sua capacità di successo sia la stessa da applicare in un nuovo campo. Trasforma i suoi manager in manager di calcio. Al suo fianco ci sono Foscale, a.d. della Fininvest, Confalonieri a.d. della Fininvest Comunicazioni, Adriano Galliani, direttore della Divisione Televisiva che diventerà in seguito l’uomo più potente del calcio italiano. Questo è forse il primo cambiamento straordinario, fu un esempio pionieristico di come anche il calcio fosse un’azienda e dovesse sottostare a logiche manageriali per arrivare al successo. Ciò che vediamo oggi tutte le volte che un magnate compra una squadra si deve a quell’esempio di successo.

 

Successo che arrivò molto presto, ma non subito. La formula vincente andava ricercata, bisognava lavorarci su. Il mondo del calcio guardava Berlusconi con stupore ma anche con una certa sufficienza. La squadra era ancora allenata dal “Barone” Nils Liehdolm, uomo carismatico che aveva grande consapevolezza della sua conoscenza di calcio. Nel precampionato la squadra perse 3-0 contro il Benfica. Liehdolm la sera cenò e andò tranquillamente a dormire, Berlusconi era inquieto e passò la notte a discutere sul perché di una sconfitta maturata contro una squadra più debole. I giornalisti il giorno dopo lo riferirono a Liehdolm, che nel suo stile eburneo replicò “Mi fa piacere, lui ha allenato anche la Edilnord, la squadra della sua azienda”. Dicono che a Berlusconi bruciò molto: per quanto ricco e capace nel calcio era ancora visto come un dilettante. Liehdolm durò poco ma al suo posto sarebbe arrivato uno ancora più radicale nelle sue convinzioni.

Sua Emittenza concepiva il calcio come uno spettacolo, in questo anticipò le televisioni di quindici anni. Voleva che la sua squadra piacesse a tutti. Aveva portato nelle televisioni italiane la vivacità di Las Vegas, era tempo di provarci col Milan. Rimase incantato dal gioco del Parma, incontrato in Coppa Italia. La squadra era allenata da Sacchi, un pazzo rispetto al calcio italiano perennemente difensivista che però avrebbe potuto trasformarsi in un profeta. Quasi nessuno sa, però (l’ha raccontato Galliani nel 2009) che quella non fu la prima scelta. Berlusconi voleva ripartire da un allenatore affermato che fosse stato un simbolo del Milan. Chi se non Giovanni Trapattoni? Galliani gli telefonò, gli illustrò il progetto, disse che avevano grandi ambizioni. Il Trap rispose nel suo stile “Orco, mi spiace. Ho appena firmato coll’Inter”. Non rimase che buttarsi su Sacchi (che resta una straordinaria scommessa vinta, ovviamente). Quella squadra cambiò il calcio, i meriti principali di Sacchi furono di aver portato in Italia la marcatura a zona e di aver teorizzato la fase di non-possesso. Meriti molto importanti.

Cosa vinse quella squadra, che campioni regalò alla storia del calcio è noto. Berlusconi ha però rivoluzionato il calcio da un punto di vista economico. Il “Sole 24 ore” calcolò che dopo Berlusconi i costi nel calcio lievitarono del 40-50%. Capitò che il Milan comprasse Palloni d’Oro da squadre rivali in Europa anche solo per lasciarli in panchina, solo per toglierli alla concorrenza (Papin dal Marsiglia). Il berlusconismo drogò il calcio e molti furono costretti a lasciare. La prima fu incredibilmente la Juve di Boniperti che rilanciò poi con Montezemolo e un altro allenatore “alla Sacchi”, tale Maifredi. Ma l’esperimento andò malissimo e oggi non se lo ricorda quasi nessuno. Ma la Juve non fu la sola, tanti furono costretti a cambiare: Pellegrini se ne andò dall’Inter lasciando a Massimo Moratti, arrivarono i Cecchi Gori a Firenze, Franco Sensi alla Roma, Cragnotti alla Lazio, Tanzi al Parma. L’accelerazione che Berlusconi portò nel calcio fu ben descritta da Mario Sconcerti: “Era chiaro che il calcio era di gran lunga il messaggio più forte per raccontare al Paese la propria ricchezza e la propria importanza. A quale prezzo non era ancora chiaro, ma tutti erano convinti di lasciare il cerino nella mano dell’altro. Di questo corteo di miliardari il primo, il più ricco e anche il più importante era e rimase Berlusconi. Aveva costretto il calcio a correre molto più velocemente”.

Dal ’94 in poi il Milan di Berlusconi divenne anche il primo caso al mondo in cui il calcio potesse essere utilizzato per scopi di propaganda elettorale. Un caso che meriterebbe addirittura studi sociologici. Ma abbiamo promesso all’inizio di far finta che ciò non sia mai accaduto.

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