Will Eisner è un maestro assoluto del fumetto. E’ sua una delle definizioni più note e interessanti di questa forma di espressività: “arte sequenziale“. Probabilmente è stato anche l’inventore delle graphic novel. Un disegnatore assurto al mondo dei classici e che collaborò in molti modi con i pionieri dell’arte fumettistica, soprattutto americana. Era di famiglia ebraica, immigrata, e la sua storia somiglia alle tante storie affascinanti dell’America di quegli anni. Umili origini, lavoretti improvvisati, e poi intuizione, creatività, capacità di mettersi in mostra in un mondo pronto a valorizzare talento e dedizione. Quasi inevitabilmente, il successo.
La sua arte è quella di un racconto spesso fatto di silenzi, monotonie o piccoli attimi, quasi sempre vite minuscole. La sua capacità narrativa emerge proprio dalla luce poetica con cui riesce a illuminare scenari di grigia vita quotidiana. Ambientazione delle sue opere più caratteristiche è New York, che da palcoscenico diventa vera protagonista dei suoi disegni: più che essere vissuta dai suoi abitanti, vive lei stessa attraverso di loro.
Nell’introduzione al suo New York. La Grande Città, scrisse:
Viste da lontano, le città sono un mucchio di grandi edifici, grandi quantità di persone e grandi aree. Ma questo per me non è “reale”. La realtà è come la grande città viene vista dai suoi abitanti. La vera immagine è nelle crepe del suolo e nelle piccole componenti delle sue architetture, là dove turbina la vita quotidiana.
I suoi scenari sono squisitamente newyorkesi, eppure Eisner non intende realizzare una monografia sulla grande mela. Non a caso gli elementi immediatamente riconoscibili di New York sono quasi assenti. Diventa invece la dimensione di una vitalità pulsante nelle città: la Città per antonomasia. Non è Manhattan, Central Park, o la Statua della Libertà, è la vita dei suoi anonimi abitanti. Una sinfonia caotica che si riproduce spontaneamente e senza sosta, come la frenesia di Rhapsody in Blue, rappresentata in uno dei più bei episodi di Fantasia 2000.
Ma la narrativa di Eisner è matura fino ad essere amara. Le sue storie non sono quasi mai di riscatto, anzi: racconta episodi di povertà, meschinità, a volte semplice umanità, con un tocco che può variare dal romantico al tragico. Un idrante che costituisce l’unica fonte d’acqua per una donna povera e suo figlio viene un giorno sigillato. Una donna viene stuprata ma marito e moglie che hanno assistito all’accaduto spiando dalla finestra decidono di non denunciare per non rischiare di subire ripercussioni dal malvivente. Esistenze da ringhiera e di espedienti, eppure in quella misera semplicità si avverte la potenza di vita di una società in straordinaria evoluzione da ogni punto di vista. Ricorda una frase molto significativa del capolavoro C’era una volta in America: “Questo è un Paese in crescita, e certe malattie è meglio farle subito, da piccoli”. Eisner, dal punto di vista sociale, racconta le malattie infantili di una società non ancora matura ma che era già America.
E’ un ritrattista, non un blogger: non ha bisogno di intervistare i suoi anonimi protagonisti come avrebbe fatto decenni dopo Brandon Stanton, creatore del celeberrimo Humans of New York. Gli basta osservarli: perchè a differenza di Stanton, Eisner non vuole raccontare singoli abitanti di New York ma vuole che New York si racconti attraverso i suoi abitanti. Una sorta di “New York of Humans”.
E anzi, lui stesso tiene a precisare:
Fare ritratti è una faccenda molto personale, quindi questo sforzo riflette il mio punto di vista. Dato che sono cresciuto a New York City, la sua architettura interna e gli oggetti della strada sono inevitabilmente presenti. Ma conosco molte altre grandi città, e quello che racconto è comune a tutte loro.
New York non è un feticcio e vale in quanto simbolo della Città tutta. In molti dei riquadri Eisneriani è ancora possibile riconoscersi. Persone stipate in metro, la noia di un ufficio, piccoli vizi o delicatezze. Ci sono i tratti di una società per come pochi decenni dopo sarà quella globalizzata: lavoro, reddito, consumo.
Ma è anche molto ben visibile l’unicità di quel periodo. Le città che crescono, le trasformazioni epocali. Una società che diventa industriale. In questo lo stupore, anche un po’ alienato, dei suoi protagonisti vive dello stesso incanto discreto che ha Will Eisner nel raccontarli. Quando si disegna fra loro è come se stesse solo firmando: la sua senbilità traspare già in ogni dettaglio. Leggerlo, molto più che un’esperienza visiva, è un’esperienza registica.