Wind and Sand – Part II

Wind and Sand – Part II

– è troppo per noi! Cazzo se è troppo! Io te l’avevo detto, te l’avrò ripetuto un centinaio di volte che era troppo per noi! –

Becky era abbastanza fuori di sé.

– Beh dai, lo immaginavi che non sarebbe stato semplice. –

Gerard era invece piuttosto tranquillo, o almeno aveva un’aria che trasmetteva sicurezza.

– Il tizio con i baffi mi ha detto che quelli di Daesh riescono a passare qua vicino, persino alle nostre spalle! –

– Beh, si e domani dobbiamo varcare il confine, insomma andare proprio lì in mezzo. –

– Tu sei fuori di testa! –

– è stata tua l’idea di venire qui. –

– Sì ma pensavo a qualche foto di palazzi distrutti, edifici storici ridotti in pezzi, roba del genere ma tutto questo è… Da pazzi. –

– Calmati dai. Prendi questa, ti stordirà un pelo. –

– Grazie. –

– Peccato che non mi sono portato le scarpe da ginnastica, mi sarebbe piaciuto correre sopra quella montagna là. –

– Per saltare in aria su una mina antiuomo? Mi sembra una grande idea. –

– Voglio rimettermi in forma sai? Già qui la cucina lascia molto a desiderare… –

– Apprezzo tanto che tu stia cercando di tranquillizzarmi ma davvero… Non è il caso. –

 

Gerard e Becky erano seduti sul tetto di una casa in pietra a fumarsi due sigarette. Se avevano rispettivamente trovato freddo il dicembre francese o inglese il gennaio turco era decisamente gelido. Si trovavano a poche centinaia di metri dal confine con la Siria, in particolare dalla città di Kobane, in un paesino sperduto che era in realtà poco più che un ammasso di case di fango. Erano immersi in un buio avvolgente ma con la testa protetta da una distesa di stelle come mai le avevano viste. Se le sarebbero godute molto di più se non fossero sobbalzati ogni volta che qualche rumore o luce di guerra si faceva sentire.

– Poi dai, seriamente pensi che siamo adatti a documentare qualcosa di così importante? – Riprese lei.

– Ancora? Basta, ti prego, non ne posso più di questa domanda. –

– Non dovevamo venirci qui. –

– Scusa ma tutti i discorsi che avevi fatto? Che c’era tanta umanità, che qui era il cuore del mondo e che vergogna Erdogan e che schifo Assad e poveri curdi e tutto il resto? –

– è che tutte le certezze che avevo all’inizio sono andate lentamente sfaldandosi. Voglio dire: era giusto ribellarsi contro Erdogan giusto? I crimini contro l’umanità, le vittime tra i civili… Però quando il nemico non erano più solo i ribelli ma le formazioni jihadiste allora forse forse meglio Erdogan… Mentre l’Isis aggredisce i Curdi e nessuno fa nulla per impedirlo. –

– Beh insomma, ci sono tutte le formazioni curde e non solo, c’è la coalizione a guida americana, li hai visti prima gli aerei americani bombardare la città no? –

– Adesso, non voglio ergermi a esperta stratega militare ma immagino che con qualche aereo in più e qualche bomba in più tutto questo finirebbe molto prima no? –

– Sai che non penso che bombardare rovine abbia tutto questo senso. Ci sono oltre duecentomila sfollati, hai sentito no? –

– Non è per quello che non bombardano è per non irritare il governo di Erdogan. –

– Ancora? Ci siamo già tornati sopra decine di volte, i curdi stessi sono i terroristi in Turchia da tempo ormai. –

– Non capisci un cazzo di questa vicenda. –

– Nemmeno tu. –

Rimasero in silenzio per qualche istante. Si scambiarono un piccolo sorriso.

– È un cazzo di casino. –

– Già. Vuoi un’altra pasticca? –

– Sì. Poi mi metto a dormire. Vieni con me? –

– No, resto qui ancora un po’. –

– Va bene. Buonanotte Gerard. –

– Buonanotte tesoro. –

– La sai una cosa? –

– Cosa? –

– Mi sento molto fortunata a dividere la mia vita con te. –

– Mi sento fortunato io. –

Becky scese. Lui sospirò profondamente e si accese un’altra sigaretta. Non aveva idea di come avrebbe fatto una volta finite. Ripensò a tutto il viaggio e a come era stato stancante ma anche a tutte le persone che avevano conosciuto. Becky probabilmente aveva ragione: era un cazzo di casino ed era troppo grande per loro. Eppure sentiva che doveva andare avanti, che non era che agli inizi di questa avventura.

– Bella merda di posto, eh? –

La voce di Kenny gelò il sangue di Gerard. L’amico era lì, un’ombra dall’altro mondo che lo guardava e fumava un sigaro.

– Grazie tante è stata tua quest’idea. –

– Ma se sono morto! Sei qua perché a quella donna non sai dire di no. –

– Che fai, adesso cerchi di convincermi di… Ah, ma che parlo a fare con te. –

– Perché, non ti mancano le nostre chiacchierate? –

– Mi mancano, mi mancano eccome. Coglione. –

– Comunque ti trovo bene, si vede che tutto quel tè ti fa assolutamente bene. –

– Sfotti, sfotti. Ricordati che tu per giocare a Rambo ti sei perso tanta roba. Push the Sky Away di Nick Cave, Random Access Memories dei Daft Punk e Fanfare di Jonathan Wilson, tanto per dirti tre album. Poi Birdman e il nuovo Mad Max… Per non parlare di… Senti ma come faccio a vederti, a parlare con te? Una volta è surreale ma così diventa… –

– Forse non stai parlando con me. –

– Sì che sto parlando con te. Perché sei qui? –

– Perché vorrei che tu capisca una cosa su di me. –

– E quale? –

– Che tutto quel paradiso in cui vivevo… Il surf, le donne, il rum… Era molto più vuoto di quanto tu non creda. Dopo un po’ non mi ricordavo non solo i nomi o i visi ma persino le emozioni che condividevo. Era diventata tutta una lunga cerimonia di ricerca ossessiva di piacere. Mi sono allontanato dal senso dell’esistenza. Qui per un attimo l’ho trovato. –

– Non ti seguo. –

– Ti ricordi cosa cercava Casanova? –

– Di scopare sempre? –

– Un attimo che valga una vita. –

Ci guardammo ancora in silenzio. Poi un boato fragoroso, una grande esplosione, forse un paio di chilometri da noi.

– Kenny? –

– Sì? –

– Quando viene il momento… Fa male? –

– Non ti accorgi di nulla. –

 

Becky scese nella stanzona comune dove dormivano tutti insieme. Più che dormire, riposavano appena, un po’ di riposo tra un rumore e l’altro, che il sonno profondo era un ricordo ormai lontano. Un fumettista romano, lì per documentare gli avvenimenti come tutti loro, la guardava incuriosito. In un angolo, un ragazzo giovanissimo mandava messaggini al cellulare. Una ragazza con gli occhi che quasi brillavano nel buio le sorrise. Lei ricambiò.

Lei si sdraiò vicino ad un buco che pareva una finestra. Sembrava quella con maggiore sopportazione del freddo tra i presenti, in ogni caso si coprì con la coperta che aveva a disposizione. Era un po’ stanca ma non assonnata. Si infilò le cuffiette per ascoltare un po’ di musica e magari rilassarsi un po’ di più.

Hey Jude.

Non era una fan dei Beatles ma quella canzone riusciva sempre a calmarla.

“And anytime you feel the pain, hey Jude, refrain

Don’t carry the world upon your shoulders”

La ragazza che le aveva sorriso le si avvicinò e si sdraiò vicino a lei.

– Il tuo fidanzato è di Parigi? –

– No, è di Lione ma vive a Nizza. –

– C’è stato un attentato in un giornale a Parigi. Sono morti diversi giornalisti. Pensavo voleste saperlo. –

– Ah, sì, grazie. –

Da quando era arrivata in quell’angolo di mondo la sua percezione della morte era cambiata. Essere circondata da orfani, vedove, feriti e moribondi la stava cambiando. E anche la sua percezione di una morte apparentemente vicina, in un posto che avvertiva come sicuro stava cambiando.

– Tu di dove sei? –

– Sono armena. –

– Sei qui da molto? –

– Un po’. –

– Ti manca, l’Armenia? –

– No, non ci vivo da anni. Il mio è un popolo abbastanza sparso per il mondo. Sono più quelli che sono andati via di quelli che sono rimasti lì. –

– Sei riuscita a legare con le persone di qui? –

– Beh, io cerco di dare una mano qui, come fanno tutti ma non è facile. –

– Io trovo che queste donne curde siano eccezionalmente forti, in tutti i sensi. –

– Sì, anche io le ammiro. Ne ho parlato con toni lodevoli in tutti i miei articoli. –

– Sei una giornalista? –

– Sì. Come ti chiami? –

– Becky, tu? –

– Maïténa –

– Io invece faccio fotografie. Vorresti vederne qualcuna? –

– Certo. –

 

 

 

Due mesi dopo.

Una camionetta guidata da un turcomanno sta entrando ad Aleppo. Dietro lui ci sono altri due signori taciturni, più la ragazza armena. Poi noi.

Becky ha pianto in silenzio per cinque minuti buoni.

In mano tiene quello che resta della sua macchina fotografica, distrutta.

Tutto il suo lavoro, perduto.

Non piange per la macchina, piange tutte le lacrime che aveva trattenuto nei giorni precedenti.

Perché il viaggio l’aveva resa forte sì, e si era mostrata forte, sì, ma l’aveva sempre fatta rimanere un essere umano.

Cercò forza di nuovo in Gerard. Gliene aveva data a tonnellate.

– è stato tutto inutile. –

– Le migliori le avevi fatte con il cellulare. –

Lei sorrise e gli strinse il braccio. Mentiva ma andava bene così. C’era l’altra di macchina, anche se non era proprio la stessa cosa.

– Ho voglia di altro chai. –

– Cazzo Gerard sei drogato di tè. –

– Vorrei dire di te ma sarebbe un gioco di parole un po’ banale. –

E risero come due scemi. Mentre il turcomanno e i due pseudo assiri non meglio definibili li guardavano storto. E Maïténa restava in silenzio.

– Ti amo Gerard. –

– Anche io Becky. –

– Sai cosa mi ricorderò di questo inferno? –

– I visi delle persone? –

– Sarebbe scenico vero? Molto empatico. Ma sarebbe una bugia. –

– E cosa allora? –

– Il cielo. E la sabbia. Le stelle nel cielo e le sfumature della sabbia. – Rispose lei con aria stanca.

– Hai ragione. Nulla è sopportabile in questo mondo qui, se non le stelle nel cielo e le sfumature della sabbia. – Scandì lentamente lui.

L’assedio di Kobane era finito. Era il marzo del 2015 e stavano andando ad Aleppo, nel cuore dell’inferno. E nonostante fossero i meno adatti al mondo non ne volevano sapere di rientrare.

 

Alexander

 

 

 

 

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