Agli occhi di chiunque sarebbe parsa come una classica corsa del pentimento, di quelle che fai per riprenderti dal troppo vino, dal troppo cibo, dalle troppe sigarette, dal troppo tutto insomma ma sotto c’era qualcosa di più. Cazzo, faceva un freddo che bisognava essere suonati davvero per mettersi a correre, lì, ai margini del bosco, a pochi passi dal nulla se non dal buio della natura notturna.
La nebbia gli si incollava addosso, lo inumidiva, lo raffreddava, lo bagnava quasi e se non fosse stato per la musica nelle orecchie se ne sarebbe rientrato a casa da un pezzo. In più gli faceva male più o meno tutto: il fegato, lo stomaco, le caviglie, le ginocchia, la testa. Se non altro le grandi nuvole di vapore che si allontanavano da lui a ogni respiro davano alla sua crociata personale un certo fascino.
Un passo, poi l’altro, l’altro ancora, a piacimento, finchè non ti sfianchi fino in fondo, finchè il fegato non si vendica di tutti i mali che gli hai causato.
Nella penombra, un ostacolo, un piede in fallo, e nel giro di un istante Gerard finisce al suolo. Non emette un suono, nemmeno un piccolo gemito, semplicemente finisce faccia a terra. Una terra fredda e bagnata. Le cuffiette gli saltano via, si allontanano da lui. Ora la musica è un po’ lontana, è più il silenzio a fare rumore. È tutto freddo e fa tutto male. Gli è già capitato di cadere, come a tutti, ma stavolta resta giù.
Quel pomeriggio aveva vagato per casa, bevendo litri di caffè americano senza fare nulla, se non scaricare un po’ di musica. Nulla, non aveva più voglia di fare assolutamente nulla.
La sera prima era rientrato a casa da un viaggio lungo, era stato pagato per fare delle foto dall’altra parte del mondo ed era stato via quasi tre settimane. Lontano, così lontano. Già, forse era un fotografo quasi ma dico quasi di successo ma questo cosa significava? Era rientrato e la casa gli era parsa un luogo sconosciuto, abbandonato, poco familiare. Aveva telefonato al suo cinese e ordinato da mangiare in una delle sue classiche conversazioni surreali.
– Sono Gerard, mi mandereste qua a casa del riso, spaghetti e maiale in agrodolce? –
– Bentornato Gerard, vuoi anche i ravioli? –
– No, niente ravioli, grazie. –
– Ravioli buoni, molto buoni. –
– Allora mandami anche i ravioli. –
– Birra? Tre? –
– Fai quattro, và. –
E così si era ritrovato di nuovo da solo, o meglio, solo con la compagnia di un vecchio film dal retrogusto amaro molto anni ’80 e delle sue birre. In testa aveva ancora Becky ma cercava di scacciare il pensiero. Senza successo. Aveva appena passato tre settimane con Becky tra Vietnam e Cambogia a fare foto e staccarsi da quella donna era stato più doloroso di quanto non avesse preveisto.
È tutto freddo e fa tutto male. Il mondo visto di traverso era verticalmente diviso in due tra il nero della terra e il bianco della nebbia. Di nuovo, i suoi pensieri cascarono su Becky. Era una droga, quella donna. Oltremodo sbagliata ma non riusciva a non piacergli. Tra l’altro anche lui era tremendamente sbagliato per lei ma questo aspetto lui tendeva a trascurarlo. Era nel fare le cose sbagliate che vedeva il meglio di lei. Quando si accendeva una sigaretta, la vedeva sensuale. Quando lanciava le bottiglie vuote di birra solo per vederle rompersi la trovava divertente. Quando girava a seno scoperto provava felicità nella libertà di lei. Gli piaceva lavorare con lei, erano state tre settimane certamente faticose ma le aveva sentite tra le migliori della sua vita. Ma adesso?
– Adesso è meglio se ti alzi. –
Era una voce che non sentiva da tanto, tantissimo tempo. La voce di Kenny. Non la sentiva da quando era partito per la Siria, quel pazzo. Ci era morto, un paio d’anni dopo, ad Aleppo. Kenny.
– Kenny sei tu? –
Gerard si rialzò. Kenny era lì, uguale a prima, riccioli biondi, barba bruna di una settimana, occhi verdi da buono e un sorriso da matto, chiuso in una felpa grigia della National Geographic e con i suoi pantaloni neri a vita bassissima da pescatore tailandese.
– Yes, monsieur, it’s me. –
Già, lo chiamava monsieur, l’aveva sempre fatto.
– Sei vivo? –
– No, manco per il cazzo, mi è esplosa una bomba a due metri dal naso, non c’è proprio stato modo… –
– Minchia. –
– Già, sì, una brutta storia. –
– Sei un coglione, ti avevo detto di non partire. –
– Sai è l’ideale, è sempre stato l’ideale… –
– Ho sempre invidiato la tua vita, da quando ci siamo conosciuti la prima volta. E l’hai buttata in merda. –
– Oh, già, la prima volta, l’aereoporto JFK, chi se la scorda! Buttati per terra che l’aereo era in ritardo a bere birra. –
– Già e abbiamo continuato a bere pure in aereo, dove poi in quota ci è salita tutta la sbornia, che risate… –
– Già. All’epoca stavi ancora a vivere alla Hawaii a insegnare surf ai turisti, farti le canne e far l’amore tutte le sere sulla spiaggia. –
– Sì, era un bel periodo, bello libero… –
– Venirti a trovare è stata la cosa migliore che potessi fare. –
– Già. Peccato tu non sia mai venuto a casa mia, nelle Isole Vergini. –
– Ho sempre pensato ci sarebbe stato tempo. –
– è quello il problema. Pensiamo sempre ci sia più tempo. Poi il tempo finisce… –
– Dovevi per forza andarci, in Siria? –
– Dovevo, sì, era il mio destino. –
– Non sei mai stato un combattente, non era quello che dovevi fare. –
– Volevo dare una mano. –
– Lo so, lo so. –
– Che hai? –
– Nulla, nulla è che sarei dovuto venire con te. –
– Beh forse è più importante oggi di ieri. –
– Oggi? –
– Già. Sei un fotografo incredibile Gerard ma devi smetterla di farlo solo per soldi. –
– Non lo faccio per soldi, lo faccio per passione. –
– Come vuoi, non è questo il punto, ora hai una storia più importante da raccontare. –
– Vuoi che vada lì? –
– Parti per il Kurdistan. –
– Sei venuto fin qui per dirmi questo? –
– Già. –
– D’accordo. Senti… Ti andrebbe una birra? –
– Fa freddo, meglio del vino. –
– Oh, sì, ho un paio di bottiglie di un rosso cileno che ti farà morire… –
– Non posso. –
– Oh, beh già, in effetti… Pardon. –
– Non posso berlo monsieur. Devo andare. –
– Un’ultima cosa Kenny… –
– Sì? –
– Com’è dall’altra parte? –
– Ti piacerà, non ti preoccupare. –
Così Kenny svanì nella nebbia. Di nuovo, forse per sempre. Gerard camminò lentamente verso casa, pensando alle parole dell’amico. Avrebbe voluto chiedere a Becky di partire con lui ma non ne aveva il coraggio. Rientrato a casa trovò un messaggio in segreteria. Era di lei.
Ciao pazzo, come stai? Ho provato a chiamarti ma a quanto pare non sei in casa. Ammettilo che ti mancava la tua Francia eh? Sarai già a ingozzarti di lumache in qualche bettola… Senti, lo so che ci eravamo detti di prenderci un periodo di pausa e che il viaggio nel Sud-Est è stato molto stancante però… Mi si è presentata l’opportunità di partire per il Medio Oriente per un lavoro importante, di quelli significativi e… Non so pensavo che vorrei farlo con te. Chiamami, quando puoi.
Due ore prima.
Passare troppe ore illuminata solo dalla luce inattinica rossa della camera oscura le faceva sempre bruciare gli occhi. Poggiò le forbici e si trascinò verso il bagno per cambiarsi le lenti. Era straordinariamente soddisfatta del suo lavoro, e mentre si mordicchiava il labbro inferiore pensò che forse era il suo migliore di sempre. Suonarono alla porta. Era Matilde, l’aveva invitata per bersi qualche birra e nonostante fosse perennemente in ritardo stavolta Becky era più in ritardo di lei. Poi quando sviluppava le foto perdeva completamente la cognizione del tempo.
Era una serata fredda a Londra. O meglio, Becky aveva sempre freddo e di certo stare a Londra non aiutava. La casa però era calda e accogliente perché sua sorella la teneva con molta cura. Vivevano insieme da anni e aveva sempre funzionato perché in fondo erano molto simili e per di più Becky non c’era mai. Pur essendo la sorella maggiore era la più piccola a prendersi cura di lei, non viceversa. Sua sorella lavorava in un bar del centro, non la pagavano male ma sognava sempre una vita diversa. La fotografia non le era mai interessata, adorava la musica, e aveva una collezione invidiabile di album e in casa il lettore era sempre acceso. Al momento, era Jeff Buckley a tenere banco. Già, Jeff Buckley, una goccia pura in un oceano di rumore, Jeff Buckley, morto annegato a trent’anni nel Wolf River dopo soli due album, Jeff Buckley che la piccola di casa adorava del quale teneva pure una foto stampata in camera. Che poi avesse una passione particolare per gli eroi romantici morti giovani era una questione diversa.
Stare in casa a bere birra con sua sorella e l’amica era una delle cose che faceva sentire Becky meglio. Adorava l’antitesi tra la vita spostata che faceva e la serenità della casa. Matilde parlava in continuazione così Becky si perse per qualche istante a fissare sua sorella, sorprendendosi di quanto fossero diverse: nelle linee del viso come in quelle della personalità. Da una parte la piccola: tratti dolci, occhi color notte, introversa e profondamente empatica; dall’altra la grande, tratti netti, due gocce di mare al posto degli occhi, estroversa e frizzante.
Nove birre, quindici sigarette e due album di Jeff Buckley dopo e la sorellina si ritirò, lasciando Becky e Matilde sole. Dopo Un lungo silenzio fu la seconda a parlare.
– Il mondo sta saltando per aria amica mia. –
– È stato pesante il viaggio in Siria? –
– Pesante? Non ne hai idea. Stavi a giocare in Tailandia tu. –
– Era il Vietnam, non la Tailandia. E non stavo… –
– Lo so, lo so, e credo tu abbia fatto un bel lavoro, dico sul serio, ho visto alcuni degli scatti e sono incredibili però… Becky ti parlo onestamente, tu sei sprecata per quella roba lì. È quello che ti piace, sono le migliori guidi del mondo quelle per cui scatti però… Il tuo talento merita di più. –
– Quale talento, io non ho talento. –
– Vorrei che tu vedessi te stessa con gli occhi con cui ti vedo io. E lo stesso vale per il tuo lavoro. –
– Lo sai che non sono un buon giudice di me stessa. –
Matilde si accese l’ennesima sigaretta e soffiò via il fumo con calma.
– Credo che il mondo abbia una sua pancia, un suo centro nevralgico. Per me è sempre stato qui nel West End ma questa esperienza mi ha trasformato. Cazzo, il centro del mondo è lì. Si sta consumando la prima grande tragedia del terzo millennio e sai io cosa ci ho visto lì? Tantissima umanità. Finalmente provo gioia in quello che ho fatto, mi sento tornata a essere umana. E non vedo l’ora di tornare lì. E sai cosa provo nei confronti di tutto il resto? –
– Cosa provi? –
– Vergogna, solo vergogna. Per Assad, per Erdogan, per Obama, per Putin, per tutti noi che facciamo finta di nulla, che ci alziamo, mangiamo, facciamo l’amore, facciamo foto ai tramonti e magari mettiamo pure parola su quello che succede lì. –
– Tutto questo è troppo grande per me. –
– Prendi la tua cazzo di macchina fotografica e documenta quello che succede! –
– Non ho le forze per una cosa del genere. –
– Allora trova qualcuno che te le tiri fuori quelle forze. –
Due ore dopo.
Due ore dopo il telefono di becky suonò. Gerard. Chiuse gli occhi ma era già sicura sarebbe stato un sì.
Alexander
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