Uscita dal cinema mi sono guardata intorno: un flusso continuo di persone passeggiava freneticamente sulla via. Due ragazzi, seduti a una panchina si facevano una foto dandosi un bacio. “Chissà chi potrà vedere quella foto…” mi sono chiesta. Tornando verso casa guardavo le persone che mi passavano accanto parlando al telefono e pensavo che forse qualcun altro stava ascoltando le loro conversazioni. E una volta arrivata a casa, la prima cosa che ho fatto è stata chiudere il portatile che avevo lasciato in standby prima di uscire. L’ho guardato con sospetto e l’ho riacceso solamente il giorno dopo.
Tutta colpa di Snowden, il nuovo film diretto da Oliver Stone con Joseph Gordon-Levitt e Shailene Woodley. Consiglio di vederlo, se non altro perché fatto molto bene: un grande thriller-documentario, ricco di suspance e con grandi attori che danno il loro meglio. Joseph Gordon Levitt (famoso per Inception, Il cavaliere oscuro: il ritorno e The Walk) riesce a rendere tutta la tensione e il dilemma che attanaglia il protagonista, accompagnato dalla bellissima e talentuosa Shailene Woodley, che in molti ricorderanno per The Divergent series e Colpa delle stelle. Nel cast troviamo anche Zachary Quinto, Melissa Leo, Tom Wilkinson e Nicholas Cage, tutti molto bravi e perfettamente calati nei ruoli.
Ma la verità è che consiglio di vederlo per la storia in sé. È vero, mi ha lasciato un senso di ansia, inquietudine e anche di rabbia, ma merita proprio perché smuove un pochino gli animi e le coscienze. Racconta di Edward Snowden, un giovane tecnico informato che lavorava per la CIA (Central Intelligence Agency) e la NSA (National Security Agency). Nel giugno del 2013 Snowden, aiutato dalla documentarista Laura Poitras e dal giornalista del The Guardian Glenn Greenwald, rivelò informazioni secretate sull’utilizzo di alcuni programmi informatici da parte dei servizi segreti americani. Con la scusa del terrorismo, vennero creati dei sistemi che permettevano di intercettare telefonate, email e videochiamate, di raccogliere foto e informazioni di chiunque sia in possesso di uno smartphone o di un computer. Con la scusa del terrorismo, qualsiasi metadato poteva essere raccolto, perché “un amico di un amico del fratello della cognata della suocera di mio fratello” potrebbe essere un terrorista. Con la scusa del terrorismo, si possono attivare le webcam di computer anche da remoto, così se per caso lascio sulla scrivania il portatile aperto (e sottolineo aperto, non acceso) la webcam può essere attivata e mostrare tutto quello che c’è o accade nella stanza e tanto non me ne accorgerei, perché non si accenderebbe nessuna spia di funzionamento.
Incredibile, no? Eppure il film non è di fantascienza. A quanto pare gli Stati Uniti si credono liberi di attuare qualsiasi misura antiterroristica, anche se questa invade la privacy di chiunque. E per certi aspetti chissene frega. Voglio dire, con l’avvento di internet, o meglio con la sua evoluzione e il proliferare dei social network in realtà non dovrebbe interessarci se qualcuno ficca il naso nei nostri profili, vede le foto e i contatti. Siamo noi i primi a voler condividere la nostra vita con il mondo. Ma un conto è che si vedano le foto che IO ho deciso di pubblicare, un altro è che un agente americano possa vedere tutte le foto che ho sui miei dispositivi solo perché magari il giorno prima sono andata a comprare il latte all’alimentari del bengalese, che potrebbe avere forse un qualche legame con un tizio che conosce un terrorista. Questa dovrebbe essere fantascienza!
E invece il film è tratto da una storia vera.
Edward Joseph Snowden iniziò a lavorare per la CIA nel 2004. Era bravo nel suo lavoro (anzi definiamolo proprio fenomeno), ma i suoi rapporti con i servizi segreti non furono proprio facili. In quasi 10 anni lavorò dapprima in Svizzera, poi in Giappone. Tornò nel Maryland per un periodo e infine andò nella sede dell’NSA a Oahu alle Hawaii. Tutto perché ogni volta succedeva qualcosa che non riteneva corretto e rispettoso dei diritti umani.
Da quando ha deciso di rivelare queste informazioni sulle misure di spionaggio degli Stati Uniti, gli è stato ritirato il passaporto di cittadino statunitense e vive a Mosca, insieme alla fidanzata Lindsay Mills. È accusato di furto di proprietà del governo e di comunicazione non autorizzata e volontaria di informazioni di difesa nazionale. Per capirci, quello che noi italiani definiamo “lavare i panni sporchi in pubblico”. Ha dichiarato di essere disposto a rientrare nel suo paese e di rispondere di questi crimini se gli venisse garantito un giusto (e civile) processo. Inutile dire che gli è stato negato…
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