Non entusiasma ma nemmeno delude, l’ultimo film di Woody Allen; un film elegante e sobrio, che mette in scena in forma romanzata una storia sentimentale ambientata tra New York e Los Angeles nei rutilanti anni 30 (verso cui Allen ha uno sguardo nostalgico). Jesse Eisenberg, perfetto nel ruolo di Bobby Dorfman, interpreta un giovane rampollo di una famiglia ebraica (ma prima di conoscere il successo è in realtà uno spiantato senza arte né parte).
L’altra protagonista è Kristen Stewart, segretaria dello zio di Bobby. Stewart è un caso umano: neppure Allen riesce a levarle quell’espressione del volto mesta, afflitta, impersonale. Tra gli attori protagonisti c’è anche Blake Lively, raggiante e bellissima (nonostante il doppio mento); a lei è affidata una parte tutto sommato secondaria. Straordinari il gioco di luci (merito di Vittorio Storaro) e le musiche (il meglio della tradizione jazzistica americana – Porter, Rogers, Gerwish ecc).
La trama all’inizio riserva sorprese, per poi procedere senza guizzi, in modo un po’ noioso, fino alla conclusione (questo il vero limite del film). Alcuni dialoghi messi in scena all’Interno della famiglia di Bobby sono notevoli (due le battute memorabili: “Vivi ogni giorno come fosse l’ultimo tanto prima o poi ci azzecchi”; “La vita è una commedia scritta da un sadico che fa anche il commediagrafo”).
L’amore e i rimpianti che esso genera (per ciò che non è stato e sarebbe potuto essere) sono al centro del film. Come già nello splendido Irrational man, la morale di Cafè society, è che la vita, con una certa dose di cinismo, ci conduce ineluttabilmente in sentieri diversi da quelli che avevamo programmato o sognato; e dunque i sogni sono destinati a rimanere tali.
“Qualcuno – ha scritto Paolo Mereghetti – dirà che non c’è niente di «nuovo» in questo film, né la riflessione sulla fragilità dei sentimenti umani né i compromessi che la vita spinge ad accettare (sono felici Billy e Vonnie? avrebbero potuto scegliere diversamente?) ma è la grazia e la comprensione con cui Woody Allen guarda alle debolezze umane che conquista. Oltre naturalmente alla sua inesauribile ironia”.
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