Karolina Pliskova, l’ex eterna incompiuta

Karolina Pliskova, l’ex eterna incompiuta

Pareva piuttosto singolare che una tennista dal talento cristallino come Karolina Pliskova non riuscisse a raggiungere risultati all’altezza nei tornei dello slam.

Con la finale conquistata agli Us Open ha sfatato un tabù: mai, prima dello slam newyorkese, aveva superato gli ottavi di finale in uno slam (pur essendo stata l’anno scorso una top 10).
A seguito della finale a Flushing meadows, Pliskova è salita in classifica (ora è sesta) e con ogni probabilità giocherà il master di fine anno.

A New York Pliskova si è concessa il lusso di battere, una dopo l’altra, entrambe le sorelle Williams. Un’impresa in cui, prima di lei, erano riuscite in poche (negli slam solo Graf, Hingis, Henin).
Il match con Venus è stato il più sofferto e combattuto. Botte da orbi per due ore, un matchpoint a favore della più grande delle sorelle annullato con un rovescio poderoso all’incrocio delle righe, finché Pliskova non è riuscita a imporsi nel tie break finale sulla più anziana avversaria (12 anni in più su un campo da tennis si fanno sentire…).

Contro Serena, in semifinale, Pliskova dominato dall’inizio alla fine, complice anche l’infortunio al ginocchio dell’americana che ne limitava la mobilità.

Il pubblico dell’Artur Ashe, 23.000 spettatori, compreso un parterre eccezionale di vip e celebrità, accorsi per tifare la loro beniamina, è rimasto atterrito quando, in poco più di mezz’ora di gioco, la giocatrice sfavorita ha fatto suo il primo set in scioltezza. A nulla sono servite le intimidazioni della Williams nel secondo. Nonostante l’equilibrio del parziale, non si è mai avuta la sensazione che Serena potesse davvero ribaltare il match. Troppo solida e efficace la Pliskova (anche se, per via della tensione, qualcosa ha concesso, soprattutto nei suoi turni di battuta).

La finale contro la Kerber, invece, l’ha persa solo perché, dopo due ore di tennis sfiancante cui l’ha sottoposta l’avversaria al solito coriacea, non aveva più energie. Lo si è visto plasticamente quando, sotto 5 a 4 nel terzo set, ha ceduto di schianto la battuta, consegnando così il match e il titolo alla Kerber.

Della Ceca colpisce innanzitutto l’aspetto estetico: gambe chilometriche, da fenicottero (non avesse intrapreso la carriera tennistica avrebbe potuto fare l’indossatrice), i tatuaggi tribali su avambraccio e coscia sinistra, i capelli biondi e gli occhi di un azzurro glaciale tipici delle ragazze dell’est; ma le qualità tennistiche non sono da meno: un servizio piatto, angolato e potente, scagliato dall’alto dei suoi 186 centimetri d’altezza, che è il fulcro del suo gioco (in stagione detiene il record di ace, ben 466), un diritto e un rovescio, due colpi piatti e puliti, ben impattati (è raro vedere un diritto come il suo).

Il tennis di Pliskova è estremamente composto, elegante nelle movenze, terribilmente efficace (specie quando è in giornata). Il difetto più vistoso del suo gioco è rappresentato dalla scarsa mobilità, che è compensata però dalle leve lunghe, che le permettono di arrivare facilmente anche su palle lontane; e da una seconda di servizio, decisamente più debole della prima.

Andy Murray nel 2015, a Brisbane, scrisse un tweet elogiando le doti tennistiche di Karolina Pliskova. E persino Adriano Panatta ne è rimasto impressionato.

Il motivo per cui Pliskova non è mai riuscita ad affermarsi negli slam, e solo occasionalmente negli altri tornei della stagione, è legato ad una programmazione forsennata. Potremmo chiamarla “sindrome Thiem”, cioè la tendenza a disputare, nel corso dell’anno, troppi tornei e a giocare troppe partite, così da arrivare sempre stanchi o non essere mai al massimo della condizione negli appuntamenti che contano (oltre a incorrere in frequenti infortuni).

Non è un caso che Pliskova – che gioca anche il doppio (con Georges) – abbia vinto un torneo importante a Cincinnati (proprio sulla Kerber) dopo aver saltato le olimpiadi; e raggiunto la prima finale slam senza aver giocato – per la prima volta sul cemento – la settimana antedente allo slam.
Se saprà gestire in maniera più oculata la sua programmazione la attende una carriera di grandi successi. Già ora ci ha fatto vedere di cosa è capace.

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