Un bilancio del Roland Garros 2016

Un bilancio del Roland Garros 2016

L’edizione del Roland Garros che si è conclusa settimana sorsa è stata la più piovosa che la storia ricordi. La pioggia è stata infatti l’indiscussa protagonista dello slam parigino, con tre giorni di pioggia incessante e nemmeno un giorno di sole in due settimane.

Lo spettacolo ne ha risentito parecchio: la qualità del tennis giocato non è stata certo eccelsa, ed anzi ha lasciato alquanto a desiderare. Ma d’altronde, giocare su campi così umidi e lenti era davvero un’impresa improba.

Partiamo dal torneo maschile. Il tabellone era orfano di Federer, ritiratosi per precauzione, prima dell’inizio del torneo, a causa di un problema alla schiena che si trascinava da diverse settimane, e di Nadal, che invece ha dato forfait nel corso del torneo – in cui era annoverato fra i favoriti – per un grave infortunio al polso sinistro, che necessiterà di molto tempo per guarire, e che inevitabilmente ne comprometterà il resto della stagione (ha già annunciato che a Wimbledon non ci sarà).

Vincendo in finale, Novak Djokovic si è aggiudicato anche l’ultimo, agognato slam che ancora mancava al suo cospicuo palmares, raggiungendo quota 12 slam vinti ed eguagliando, tra gli altri, Agassi, Federer, Nadal tra i giocatori che hanno vinto tutti e quattro i tornei dello slam. Non è stato un percorso facile per il campione serbo, che durante le due settimane del Roland Garros ha palesato segnali evidenti di tensione e nervosismo (rischiando addirittura la squalifica quando, lanciando per terra la racchetta, in modo maldestro, questa gli è sfuggita di mano e ha sfiorato un giudice di linea). Durante la prima settimana del torneo, non è mai riuscito, se non a sprazzi, ad esprimere il suo miglior tennis. Ha innalzato di molto il suo livello di gioco nei quarti di finale e soprattutto in semifinale, dove è stato impeccabile, surclassando un ottimo Thiem. In finale, dopo un primo set disastroso, preda dei fantasmi del passato, memore della finale persa l’anno prima, da favorito, contro Wawrinka, ha ritrovato se stesso, la concentrazione, quindi i colpi e, nonostante un passaggio a vuoto sul finale, ha portato alfine a casa la vittoria su Murray.

Cosa dire di più di un campione che sta infrangendo ogni record possibile? Il grande slam è arduo da realizzare ma è comunque alla sua portata. Bisognerà vedere come saprà gestire la pressione; a New York l’anno scorso, ce lo ricordiamo bene, Serena Williams ne fu sopraffatta. Ma, che vinca o meno gli altri due slam necessari a completare il grande slam, d’ora in poi, come ha rimarcato Guga Kuerten, Djokovic partirà da favorito assoluto in qualsiasi torneo cui parteciperà.

L’altro finalista, Andy Murray ha dimostrato di essere progredito sulla terra, e dal punto di vista tecnico, in particolare nell’esecuzione del dritto, meno tremebondo del passato, e del servizio, che entra in campo più spesso di prima, grazie alle modifiche apportate al lancio di palla. Per il resto il solito Murray, che ha ceduto di schianto appena Djokovic ha iniziato a fare sul serio, consegnandogli così il match. Dopo la fine del sodalizio con Ameliè Mauresmo, la quale ha rivelato che il loro rapporto è finito perché Murray la prendeva a male parole, ha ingaggiato l’ex coach Ivan Lendl in vista della stagione sull’erba.

Può ritagliarsi il ruolo di principale avversario di Djokovic, stante il declino di Federer e Nadal, ma non è lecito aspettarsi nulla di più da lui.

Per il resto il torneo maschile, eccetto l’ormai definitiva esplosione del talentuoso austriaco Dominich Thiem, non ha riservato grosse novità: abbiamo visto all’opera un Wawrinka come sempre incostante; Berdich che sembra rassegnato a perdere in continuazione dai giocatori più forti; Nishikori che è ancora un giocatore troppo leggero per ambire vincere i tornei più importanti. I giocatori giovani, le promesse del prossimo futuro – Coric, Zverev, Kirgios, Fritz – stentano ancora ad affermarsi.

Veniamo al torneo femminile. Anche qui, come nel maschile, la finale è stata bruttina, con la differenza che la naturale favorita, Serena Williams, ha perso ancora una volta contro un outsider.

La vittoria a Roma, ottenuta peraltro su avversarie tutto sommato modeste, ci aveva illuso che la campionessa americana fosse tornata ai livelli che le competono, quelli di assoluta dominatrice del circuito femminile. Invece Williams, complice stavolta anche un problema fisico agli adduttori, ha perso la seconda finale slam consecutiva. E’ finita per sempre l’era dell’egemonia soverchiante di Serena Williams nel tennis? Quella sconfitta avvenuta contro Roberta Vinci sembra averla segnata, dal punto di vista psicologico, in maniera definitiva. Da allora Serena Williams ha perso la grinta agonistica che la contraddistingueva, quell’aurea di imbattibilità che le derivava da una manifesta superiorità fisica e mentale, e che la rendeva quasi ingiocabile se in forma. Oggi pare un’altra giocatrice, una lontana parente di quella giocatrice che appena un anno fa annichiliva qualsiasi avversaria. Le avversarie questo lo avvertono e ne approfittano. Sembra infelice e triste in campo, come se avesse perso ogni motivazione a vincere e a combattere.

Trattandosi di una campionessa di un certo calibro può essere azzardato fare previsioni, ma è possibile, e finanche probabile, che Serena Williams non vinca più nessun altro titolo dello slam.

Questo lungo discorso non deve però offuscare o sminuire i meriti di Garbine Muguruza, che in finale ha giocato molto bene, in maniera indomita, consapevole di poter vincere. E’ stata aggressiva su ogni palla, meritandosi dunque la sua vittoria in uno slam.

Se sarà un fuoco di paglia come Angelique Kerber, vincitrice a sorpresa degli Australian Open, solo il tempo ce lo dirà. Ma ha dalla sua la potenza e una personalità determinata e combattiva. Ed ha ancora ampi margini di miglioramento dal punto di vista tecnico, in particolare nel gioco di volo, che è pessimo, e nei colpi di rimbalzo dove risulta troppo fallosa.

Penso che se Radwanska e Halep non fossero state penalizzate dal dover giocare sotto la pioggia a causa di una sciagurata decisione degli organizzatori, avrebbero potuto aggiudicarsi il titolo, al posto di Muguruza. Peccato anche per Viktoria Azarenka, una delle più accreditate pretendenti al titolo. E’ stata davvero sfortunata: ha perso al primo turno, contro Karin Knapp, per via di un infortunio alla caviglia, che si va ad aggiungere a quelli rimediati recentemente alla schiena e alla spalla.

La storia più bella del torneo femminile è stata rappresentata dalla favola di Kiki Bertens, giocatrice svedese dotata di grandi colpi e potenza, che ha raggiunto le semifinali, battendo tra l’altro giocatrici sulla carta favorite contro di lei come Kerber e Backsinski. L’anno scorso, proprio in questo periodo, le fu diagnosticato un tumore (per sua fortuna poi si è scoperto che era benigno), che le ha tolto la serenità necessaria per poter giocare al meglio. Quest’esperienza l’ha rafforzata nell’animo, ha perso nove chili in eccesso grazie al duro lavoro di preparazione atletica, ed è diventata una tennista competitiva.

Attualmente il tennis femminile vive una fase di totale anarchia.

C’è chi apprezza che al momento il tennis femminile, al contrario di quello maschile, sia alquanto imprevedibile: che ad ogni torneo non ci sia mai una vera favorita, che qualunque giocatrice sia in buona condizione è in grado di vincerlo o di ottenere risultati importanti; tuttavia questo stato di cose non è affatto un buon segnale, come potrebbe sembrare: significa che sono saltati completamente gli equilibri di vertice. Ogni sport si fonda sul fatto che esistono delle gerarchie, più o meno consolidate, che variano nel corso del tempo, da cui discendono i risultati e le classifiche. Se diventa la norma, e non l’eccezione, che chiunque possa vincere qualsiasi torneo, significa che il livello della competizione è molto basso. Vedremo se questa situazione deleteria per il circuito femminile continuerà o cesserà.

Finito un torneo dello slam ne inizia un altro. Per gli appassionati di tennis, archiviata la stagione sulla terra rossa, è ora la volta dell’erba di Wimbledon, in programma tra due settimane.

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