NEW YORK, NY - DECEMBER 12:  Eric Clapton performs at "12-12-12" a concert benefiting The Robin Hood Relief Fund to aid the victims of Hurricane Sandy presented by Clear Channel Media & Entertainment, The Madison Square Garden Company and The Weinstein Company at Madison Square Garden on December 12, 2012 in New York City.  (Photo by Kevin Mazur/WireImage for Clear Channel)

Il nuovo lavoro di Eric Clapton, tra luci e ombre

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Il tempo per Slowhand non si ferma. Il blues non ha età, e lui più invecchia, più rimane fedele agli schemi musicali del blues elettrico, ruvido, con la pecca di non rendere l’album interessante sotto diversi punti di vista.

 

Eric Clapton è tornato con un lavoro dal titolo “I Still Do”. L’ha fatto in sordina, in punta di piedi, mettendo insieme canzoni come un virtuoso musicista che si diverte a registrare ciò che più gli piace suonare, che siano pezzi suoi nuovi o rivisitazioni dei suoi artisti preferiti. L’essenza di “I Still Do” è esattamente questa.

 

Collaborando con il produttore del vecchio capolavoro del 1977 intitolato “Slowhand”, proprio come il suo storico soprannome, Clapton crea un album non troppo originale, senza guizzi, ma solido nel contenuto blues. Si parte bene con un’aggressiva Alabama Woman Blues, per poi scivolare in pezzi mai creativi. Troviamo cover di Robert Johnson, del suo amico J.J. Cale e di Bob Dylan in una interessante “I Dreamed I Saw St. Augustine”, senza far mancare un suo contributo personale con due pezzi originali a metà album, “Spiral” e “Catch The Blues”.

 

Con i pezzi nuovi, Clapton non dà quella sterzata che un suo fedele ascoltatore si aspetterebbe. Si lascia andare in melodie tendenti al pop che si avvicinano più alla sfera “McCartiana” che ai fedeli eredi di Robert Johnson.

 

Dopo aver atteso per 11 pezzi la perla che Clapton sempre regala in ogni suo album, mi sento di dire che la chiusura con I’ll Be Seeing You è da maestro. Pur nella sua banalità e poca originalità, l’amore con cui Eric tratta pezzi tradizionali americani aiuta a rilanciare l’atmosfera del lavoro, dandogli finalmente un senso.

 

La vena creativa è finita per Slowhand, ma il suo tocco, la sua chitarra ed il suo blues gli permettono di divertirsi suonando i pezzi che più gli piace suonare, senza per forza dover dimostrare qualcosa ai suoi già ben appagati stakeholder.

 

I tempi di Layla, Bell Bottom Blues e Wonderful Tonight non ci sono più, ma finchè suona, godiamoci qualsiasi cosa sia in grado di regalare, anche solo un riff, od un assolo, come fossero raggi di sole tra nuvole grigie.

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