Da quando la cerimonia dei David di Donatello, il corrispettivo italiano degli Oscar americani, è traslocata su Sky, pare essere diventata una manifestazione meno pomposa ed autoreferenziale. Ha vinto Garrone, come miglior regista, Jeeg Robot ha fatto incetta di statuette, Zalone è stato snobbato. Ma il vero trionfatore è stato un film uscito da poco nelle sale, e che è diventato in poco tempo un vero e proprio caso cinematografico.
Perfetti sconosciuti, pellicola prodotta da Paolo Genovese (Medusa), ha infatti riscosso grande successo sia da parte della critica, come attesta la statuetta per il miglior film, sia soprattutto da parte del pubblico (è il secondo film più visto dell’anno, con più di 3 milioni di spettatori e un incasso, ottenuto grazie al passaparola, superiore ai 20 milioni). E le case cinematografiche internazionali stanno facendo a gara per accaparrarsene i diritti.
Per questo vale la pena parlarne.
Perfetti sconosciuti è un film interessante, originale, che muove da un’idea semplice ma tutt’altro che banale.
Il tema di fondo del film è come i cellullari si siano impossessati delle nostre vite. Essi sono divenuti, per dirla con uno dei protagonisti, delle sorte di “scatole nere”, che custodiscono i segreti più intimi (e a volte inconfessabili) di ognuno di noi. Cosa succede, dunque, se a una cena fra amici qualcuno propone di mettere il proprio cellulare sul tavolo e di leggere e ascoltare i messaggi e le chiamate che arriveranno? Da quel momento in poi ha inizio un gioco al massacro, in un crescendo di abiezioni e miserie, che porterà inevitabilmente allo sfascio le coppie presenti.
Perfetti sconosciuti ricorda in parte film anch’essi ambientati a tavola – molto meno riusciti, per usare un eufemismo – come “dobbiamo parlare” e “il nome del figlio”.
La sceneggiatura è nel complesso brillante e ben fatta, forse a tratti eccessiva nel rimestare nel torbido (anche se qualcuno dei protagonisti si salva). Viene da chiedersi: possibile che questo gruppo di amici abbia un’unica attività e preoccupazione, cioè quella di copulare? In questo senso qualche intreccio amoroso è poco credibile.
Se il film è valido il merito è anche di un cast ben assortito e affiatato. Va però detto che mentre la prova interpretativa degli attori maschili risulta davvero eccellente (in particolare Mastandrea e uno strepitoso Battiston), quella femminile lascia alquanto a desiderare.
Alba Rohrwacher farebbe bene a cambiare mestiere; Kasia Smutniak, nonostante una buona interpretazione in “allacciate le cinture” di Ozpeteck, ha ancora qualche difficoltà con la nostra lingua; e ha sempre quell’aria afflitta, contrita, un modo di recitare inespressivo. Sorge il dubbio che se non fosse la compagna di uno dei più importanti produttori italiani, Domenico Procacci, difficilmente potrebbe recitare in film del genere (il discorso vale naturalmente anche per altri, ad esempio Michaela Ramazzotti, moglie di Virzì).
Ma, comunque sia, ciò non toglie nulla al film, che risulta godibile dalla prima all’ultima scena (compreso un finale abbastanza sorprendente).
Solitamente le commedie italiane, a differenza di quelle francesi, non spiccano per qualità; ebbene, Perfetti sconosciuti indubbiamente è una di quelle rarissime eccezioni.
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