Spesso gli uomini accusano noi donne di essere imprevedibili, un turbinio di idee e azioni. Siamo così volubili che, a loro dire, non possono essere mai certi di quali saranno le nostre reazioni. Siamo emotive, taglienti poi ancora tristi e alla fine così allegre che diventa una vera e propria impresa farci tornare serie.
Dicono la verità?
Io non saprei, di certo però l’arte può offrirci un ottimo spunto per inquadrare la situazione.
Come abbiamo più e più volte osservato, da sempre il gentil sesso è stato protagonista indiscusso delle arti figurative. Forse perchè per lungo tempo certi mestieri sono stati prerogativa prettamente maschile?
Può darsi, ma la chiave risiede, a parer mio, più in profondità, nella indiscussa magia che circonda la figura femminile: creatura indifesa e allo stesso tempo generatrice di nuova vita. Proprio da questa dicotomia prendono forma sulle tele le donne più diverse nonché, come nel nostro caso, diverse versioni della stessa donna.
Gustav Klimt (1862-1918) dipinge la prima tela ispirata al mito di Giuditta e Oloferne, nel 1901. L’artista racconta in modo decisamente innovativo una narrazione biblica che aveva già riscosso enorme successo nell’arte figurativa precedente. La storia che narra le vicende della giovane vedova Giuditta pronta, per salvare la sua città dall’assalto babilonese, a sedurre il generale delle truppe Oloferne, salvo poi tagliargli la testa nel sonno, era già stata trattata da grandi artisti del passato quali ad esempio Caravaggio, Artemisia Gentileschi, Botticelli, Michelangelo e non ultimo Donatello.
Se confrontiamo le loro opere con quella da noi analizzata notiamo subito la mancanza di alcuni attributi ricorrenti nella trattazione dell’episodio, come ad esempio la spada e la figura della serva. Sembra quasi che Klimt abbia epurato il suo dipinto da ogni dettaglio più cruento. Possiamo così osservare come anche alla testa della vittima venga lasciato poco spazio, giusto quello appena necessario a fare intuire la natura del personaggio. Nonostante questo l’immagine in sè non sembra perdere in termini di drammaticità. L’artista, infatti, sopperisce alla mancanza dei consueti attributi dipingendo una donna dall’aria austera e vittoriosa, ma soprattutto dalla sconvolgente sensualità. Seduzione e inganno sembrano essere dunque le armi peculiari di un gentil sesso che, secondo Klimt, non necessita di altro per ottenere la sua vittoria.
Osserviamo con più attenzione in cosa consiste tale femminilità assassina:
Le sue membra pallide si ergono in tutta la loro tridimensionalità, secondo quello che diverrà tratto distintivo dell’artista, ovvero attraverso il contrasto diretto della carne con lo sfondo dorato. Proprio in merito al fondale possiamo ipotizzare che l’artista, ossessionato del decoro, abbia voluto intenzionalmente sviluppare la bidimensionalità sulla base del fregio babilonese del palazzo di Ninive, venuto alla luce durante gli scavi tra il 1846-1851. Giuditta immersa nella sua aurea dorata che richiama i tempi antichi, si contraddistingue però per una acconciatura molto moderna che la ricolloca nella Vienna dell’artista. Anche la raffinata collana gioca con il tempo rimanendo fedele alle sperimentazioni delle arti decorative in voga all’epoca.
I numerosi studi dell’artista visibili attraverso un esame ad infrarossi dimostrano come la figura avesse inizialmente un’altra impostazione. Questa prevedeva, infatti, il posizionarsi di un braccio a copertura del seno. Forse dopo tutto, non sono solo le donne ad essere di natura così mutevole non vi pare? Quel che di certo non si può negare è che il dipinto della vendicatrice biblica fu per Klimt un lavoro che coinvolse la sua creatività su più fronti, lo studio delle fonti arcaiche, la riflessione sulla donna moderna e la concezione di insieme integrato tra rappresentazione e decorazione. La cornice in metallo è, infatti, come in altre delle sui lavori, pensata appositamente dallo stesso artista come parte integrante dell’opera e in questo caso realizzata dal fratello Georg.
L’affascinante accostamento tra la figura femminile e il tema della morte colpisce così in profondità l’animo di Gustav Klimt che egli volle ritornare nuovamente sul tema dipingendo un nuovo quadro di Giuditta nel 1909.
Già dal primo sguardo ci rendiamo conto di trovarci difronte ad una vera e propria trasformazione nello stile dell’artista, il quale ha subito le influenze della fascinosa e tormentata visione del gentil sesso di Egon Schiele.
La figura di Giuditta, qui, si allunga andando a delineare una silhouette serpentina, monumentale ed elegante. A differenza della precedente, non è più ammaliatrice, ammiccante al suo pubblico, ma definitivamente carnefice spietata. Giuditta, infatti, nella sua seconda versione sembra incedere solennemente verso sinistra mentre il suo sguardo arido sfugge il contatto diretto con lo spettatore. Le sue carni chiare emergono da un opulento ambito nero, dove ancora si fa manifesta pienamente l’estetica del decoro in un turbinio di forme geometriche e motivi lineari.
Da uno sfondo non più dorato, meno appariscente di quello dipinto nella prima Giuditta emergono prepotentemente mani rapaci, tese in modo innaturale, tra le cui dita sono come impigliati i capelli di Oloferne. Proprio queste mani,così torte, insieme ai tratti affilati del volto e colori freddi della veste, tradiscono il contatto di Klimt con le nuove esperienze dell’espressionismo tedesco.
A più riprese entrambi i quadri verranno confusi con la rappresentazione del personaggio di Salomè, anche quando la stessa cornice recitava Jvdith Holofernes. Forse la causa è da ricercare nel successo che la figura di Salomè, assassina di Giovanni Battista, aveva acquisito verso la fine dell’Ottocento. Salomè appariva infatti come prototipo della forza perversa della femminilità. Ma in una società dove gli studi sull’ isteria sviluppati da Freud stavano giungendo ad una soluzione e dove su tutti, uomini e donne pesava costantemente la paura dell’allienzione attraverso la vita moderna, forse una donna, una donna come Giuditta, avrebbe potuto giustificarsi così:
“Non è colpa mia, è che mi disegnano così!”
Claire
IMMAGINI
(Giuditta I, Gustav Klimt, 1901, Vienna Osterreichische Gallerie Belvedere, olio su tela, cm84x42)
(Giuditta II, Gustav Klimt,1909, Venezia, Museo d’Arte Moderna Ca’Pesaro, olio su tela, cm178x46)
Commenti recenti