Su “Sempre meglio che lavorare”, opera prima dei The Pills, avevamo molta curiosità e qualche timore. In un contesto di evidente monotonia di temi e toni nelle commedie al cinema (il pur riuscitissimo Checco Zalone non fa certo eccezione) come su Youtube, per non parlare della imbarazzante situazione televisiva, il trio romano ha rappresentato un forte elemento di novità. Il talento e l’originalità mostrati nella webserie sono evidenti; da qui la curiosità. I timori erano però rappresentati dall’ovvia difficoltà nel confrontarsi con il mezzo cinematografico, oltre che dai rischi della commercializzazione già drammaticamente apparsi in tv, nel loro programma Non ce la faremo mai (seconda serata di Italia1). Essere inglobati dal mondo Mediaset–Medusa non è affatto una colpa, anzi, ma rappresenta notevoli minacce alla propria originalità e indipendenza (nel senso meno politico del termine). E’ certamente apprezzabile la voglia di sperimentare di Pietro Valsecchi, probabilmente data dalla sicurezza degli incassi di Zalone, ma le difficoltà legate a un nuovo tipo di pubblico e mezzi non erano comunque evitabili.
Appena finito il film, l’impressione era che l’esperimento cinematografico fosse fallito, nonostante le fragorose risate della sala. Non c’è neanche il tentativo di creare una trama seria, comunque tranciata dal lungo nonsense del finale; manca completamente una caratterizzazione più approfondita dei personaggi; le ambizioni tecniche (peraltro abbastanza riuscite) della regia di Luca Vecchi non sono supportate da altrettanta ambizione nei contenuti. Eppure, il film è stato piacevole. I personaggi in scena erano gli stessi dell’amata serie su Youtube: in questo senso la maturità dei loro ruoli per il grande salto cinematografico c’era eccome, ma non è stata sfruttata al massimo.
Si è trattato indubbiamente di un film “per i fan” ma questa espressione merita ben altra considerazione rispetto ai precedenti film fatti da altre (più note) webstar come Frank Matano o Favij. Nel caso dei The Pills parliamo di un pubblico molto più maturo, disposto ad affrontare se pur in farsetta temi generazionali veri, citazioni per nulla scontate, anche una buona misura di satira di costume. Costumi di Roma Sud, ma che arrivano cristallini a tutti i ragazzi che si trovano nella zona grigia fra studio e lavoro. Questa è probabilmente la critica principale che possiamo fare al film: trattandosi di un film fatto per il loro pubblico si poteva osare di più, proprio perché in passato sono stati capaci di conquistare una platea che gli consente (anzi esige) aspirazioni elevate .
Ulteriore limite sottolineato da diversi critici (a parte qualche errorino della regia, comunque sostanzialmente promossa per la già citata ambizione) è stata la recitazione. Il padre di Matteo Corradini interpreta alla perferzione e con naturalezza il proprio ruolo, ma le lacune emergono gravemente al momento di un dialogo un po’ più profondo sulla giovinezza e il passare degli anni. In generale ha ricevuto diverse critiche negative Luigi Di Capua, che interpreta un ragazzo ancora più immaturo e strafottente di come appariva nelle pillole su Youtube. Un po’ impacciato in alcuni momenti, troppo poco naturale in altri (la ferocia con cui si scaglia contro il ragazzino che gli dà del lei per chiedergli di accendere la sigaretta era troppo artefatta anche per l’evidente ironia della scena). Anche in questo caso le basi per migliorare però ci sono eccome: probabilmente è stato pagato il passaggio dalla divertita improvvisazione un po’ cazzara del web basata su un semplice canovaccio al copione vero e proprio di un film. Ci può stare.
Il film è in generale divertente; una serie di sketch che sul web risulterebbero particolarmente riusciti dal punto di vista comico. Manca il cinismo a tratti lacerante di alcuni loro successi web come La tipa wild o Una mamma perfetta per affidarsi a una più semplice comicità dei contrasti: ma funziona. I protagonisti nella loro azzeccata versione da bambini; il vecchio che vuol fare il giovane (Corradini padre); il giovane che vuol fare il vecchio (Corrradini figlio); il trentenne Luigi che vuol tornare liceale e in generale recita un ruolo conflittuale con Luca Vecchi che fa da mamma casalinga premurosa; i bangla trasformati in setta quasi massonica e infine in organizzatissima multinazionale. In questo e molti altri casi l’avvertimento del contrario di cui avrebbe parlato Pirandello diverte. Manca un po’ il cosiddetto “sentimento del contrario”, la riflessione più profonda sui contrasti, che invece aveva consacrato la loro maturità umoristica rispetto ad altre webstar.
Quelli che appaiono sullo schermo son i The Pills con tutta la loro frizzantezza, ma “Sempre meglio che lavorare” non è un film: è un insieme di sketck senza neanche il tentativo di provare a legarli da una trama. Al massimo si può vedere un filo comune, che poi è lo stesso della loro dimensione internettiana: niente di più. Si potrebbe dire che hanno fatto il compitino. Un’opera prima ancora profondamente immatura che ha mostrato contenuti simpatici ancora troppo disorganizzati. Ma stroncare del tutto lo sforzo sarebbe a nostro avviso sbagliato: loro sono qualcosa di nuovo. Nel vuoto co(s)mico emerso da web e tv e approdato al cinema in questi anni è già tantissimo. Gli incassi non sono andati molto bene ma noi ci auguriamo vivamente che venga loro concessa una seconda possibilità. In un modo o nell’altro ce la faranno. In fondo, al contrario dei personaggi da loro interpretati, hanno ancora tutto il tempo per crescere.
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