“Se una pallottola dovesse entrarmi nel cervello, possa questa infrangere le porte di repressione dietro le quali si nascondono i gay nel Paese”. Sean Penn in “Milk”, film su Harvey Milk, politico americano che dedicò tutta la sua vita alla lotta in favore dei diritti degli omosessuali.
Justin Fashanu nasce a Londra nel 1961 da una coppia di immigrati africani. All’età di 6 anni, Justin e il fratello John, in seguiti al divorzio dei genitori, vengono dati in affidamento ad una coppia della middle-class inglese, che li cresce nei pressi di Attleborough. Per dimenticare il dolore dovuto alla disgrazia famigliare, Justin e John passano il tempo giocando a pallone. Entrambi coltivano insieme questa passione, entrambi hanno nell’altro la propria forza.
Justin è di un anno più grande ed è lui il primo ad intravvedere la possibilità di realizzare il proprio sogno: il Norwich infatti ha notato il suo talento e gli ha offerto un posto nelle sue squadre giovanili. Justin accetta e già si immagina con la maglia dei “canarini” mentre gonfia le reti di mezza Inghilterra. Poco più di un anno dopo, Fashanu è l’attaccante titolare e segna senza sosta. Nel 1980 un suo gol contro il Liverpool diventa il più bello dell’anno secondo la BBC. Fashanu è il nuovo giovane idolo inglese: segna 40 reti in pochi più di 100 partite e ha solo 19 anni.
Durante l’estate 1981 il suo nome finisce sulla lista dei desideri di un certo Brian Clough, allenatore mitologico del Nottingham Forest; bussa alla porta del Norwich con un assegno da un milione di sterline, cifra mai pagati prima per un calciatore di colore. Nonostante le grande aspettative, è proprio a Nottingham che inizia l’incubo di Fashanu.
Con Clough non scatta mai l’amore, sia per le mediocri prestazioni in campo dell’attaccante sia perchè a Brian, uomo disposto a tutto per il calcio ma con la mentalità di chi è cresciuto negli anni 50, non vanno affatto giù i rumors che vedrebbero in Justin un assiduo frequentato dei locali gay cittadini.
Clough lo definirà pubblicamente un “Fottuto finocchio” riportando nella sua autobiografia una conversazione che ebbe con l’attaccante:
« – Dove vai se vuoi una pagnotta?
– Da un fornaio, immagino.
– Dove vai se vuoi un cosciotto d’agnello?
– Da un macellaio.
– Allora perché continui ad andare in quei cazzo di locali per froci? »
La carriera di Justin diventa così un calvario: passa prima ai rivali cittadini del Notts County dove subisce un grosso infortunio al ginocchio che ne mette a rischio la carriera. Il ginocchio è talmente dolorante da costringerlo a recarsi negli Stati Uniti per ricevere le apposite cure.
Dopo qualche anno di riabilitazione, torna su un campo da calcio con la maglia dei Los Angeles Heat. Si rende conto di stare bene e decide quindi di tornare in Inghilterra. Ha meno di 30 anni e sente di poter dire ancora la sua nel calcio che conta. Tuttavia il sogno svanisce presto: falliti i provini al Manchester City e al West Ham, Fashanu si trova costretto ad accettare la proposta del Southall, club di dilettanti che gli offre il posto di giocatore-allenatore.
Rendendosi conto che il treno per il grande calcio è ormai passato, Justin decide di togliersi un grosso peso: contatto il Sun, giornale popolare inglese, e rilascia un’intervista in cui dichiara pubblicamente la propria omosessualità. E’ il primo giocatore professionista di sempre a farlo. Il gesto è di quelli da uomini coraggiosi e si porta dietro la speranza di essere da esempio per tutti gli altri giocatori gay che, come lui, hanno tenuto per anni il segreto nascosto. E’ il 22 ottobre 1990.
Il Sun gonfia pagine e pagine sulla vicenda. Il nome di Fashanu circola sulla bocca di tutti ma non nella maniera in cui l’attaccante si era immaginato; il calcio lo abbandona, la sua famiglia gli volta le spalle. Il fratello, divenuto anche lui un calciatore, lo rinnega pubblicamente. La stessa comunità nera britanica lo attacca definendolo un “patetico ed imperdonabile affronto per tutta la comunità”, come se anni di schiavitù e soprusi non avessero lasciato alcuna traccia. La stampa crea storie e illazioni sul suo conto. Justin voleva aprirsi al mondo, ma si è riscoperto più solo che mai.
Negli anni successivi cambia continuamente squadra, passando dalle varie realtà dilettantistiche inglese per gli Stati Uniti, Scozia e addirittura Svezia. Justin è in difficoltà e si inventa di sana pianta una serie di storie da vendere ai vari giornali: sono tutte vicende di rapporti sessuali avuti con diversi personaggi politici. Tutto falso, tutto inventato. La figura di Fashanu cade sempre più in basso: più volte viene costretto a lasciare il club dove stava giocando con l’accusa di oltraggio. Chi lo conosce dice che questi comportamenti sono dovuti al senso di solitudine e alla mancanza di affetto ricevuto da bambino, ma fatto sta che Fashanu non è più in grado di stare nel mondo del calcio. Il suo credito di ex stella prodigio, è ormai irrimediabilmente compromesso.
Lascia il Regno Unito per gli USA dove, dopo una breve esperienza da calciatore, decide di appendere gli scarpini al chiodo e di accettare la proposta da allenatore del Maryland Mania Club. La squadra è decisamente scarsa ma offre la possibilità a Fashanu di rinascere e di rifarsi una vita lontano da quella Inghilterra che ne ha cullato i sogni per poi distruggerli dietro un mare di pregiudizi.
Ancora una volta però, è solo la quiete prima della tempesta. Il 25 marzo del 1998 un ragazzo minorenne chiama la polizia locanle dicendo di essersi svegliato, dopo una notte di baldoria, nel letto di Fashanu, che ha abusato sessualmente di lui. Justin rimane molto sorpreso dalla vicenda, ne sembra totalmente estraneo. Si reca al commissariato di polizia e si rende disponibile ad aiutare in ogni modo possibile le indagini, fornendo ogni tipo di campione necessario. La polizia sembra credergli e, vista la sua collaborazione, non ritiene necessario il carcere preventivo.
Il 3 Aprile gli agenti di polizia si recano nel suo appartamento per portare avanti le indagini ma lo trova totalmente abbandonato. Fashanu infatti ha lasciato gli Stati Uniti ed è tornato in Inghilterra dove, sotto un falso nome (usa il cognome da nubile della madre) sta contattando ex amici per trovare un aiuto. Il fatto di essersi trovato immischiato in uno scandalo del genere, proprio lui, un omosessuale di colore, facilmente vittima di pregiudizi e razzismo, ha mandato Fashanu nel panico, trovando nella fuga la sola soluzione.
In Inghilterra però tutti gli voltano le spalle, nessuno lo vuole aiutare. Il suo ex procuratore, che aveva garantito un aiuto a Justin, smette di contattarlo. Fashanu chiama anche il fratello John che, una volta resosi conto di chi ci fosse dall’altro lato della cornetta, riaggancia immediatamente seccato.
il 2 maggio viene avvistato ad una sauna gay di Londra. Il proprietario si rifiuta di dare grossi particolari, per non intaccare l’immagine della sua attività, ma a detta di tutti Justin era sereno e sorridente.
il 3 maggio, in un box vicino alla sauna, viene ritrovato il corpo di Fashanu senza vita. Si è impiccato. Ha lasciato un bigliettino: “Non voglio dare altri motivi di imbarazzo ai miei amici ed alla mia famiglia […] Spero che il Gesù che amo mi accolga e che io possa infine trovare la pace…“. Inoltre affermava di essere scappato perchè si era sentito già condannato prima ancora del processo. Aggiunge anche la sua versione sulle vicende di quella notte: è vero che aveva avuto un rapporto sessuale con quel ragazzo, ma egli era del tutto consenziente e in seguito aveva ricattato l’ex calciatore di dire tutto alla polizia se questi non gli avesse dato del denaro. Justin avrebbe però rifiutato, andando incontro alla ritorsione di molestie sessuali.
La sua controversa vicenda ha aperto alle più disparate interpretazioni: per alcuni è un martire del sistema omofobo e razzista, per altri, come il mondo del calcio, è sempre stato solo un motivo di imbarazzo.
Forte è il rimorso del fratello John, che anni dopo dichiarerà: ” Penso che abbia, anzi che abbiamo creato una situazione in cui lui sia stato isolato. Non credo che noi avessimo accettato il fatto che lui fosse gay. E quando dico “noi” sto probabilmente cercando di difendermi dal dire “io“.
Alcuni giornali hanno attribuito la colpa di tutto ciò alla difficile situazione famigliare vissuta da Justin, altri ci vedono addirittura disegni complottisti. Per altri, semplicemente, il suicidio è stato un modo per scappare dalla proprie colpe.
Inutile perdersi in voli pindarici su quello che sarebbe potuto accadere se Fashanu fosse nato qualche anno dopo o se avesse avuto un carattere più forte e spalle più larghe, in modo da gestire con più lucidità tutta la vicenda.
Quello che è oggettivo è che Justin si è trovato costretto a smarcarsi non da arcigni difensori, ma da milioni di persone che gli puntavano il dito contro per una “colpa” di cui lui non era neanche responsabile, come il colore della pelle o le preferenze sessuali. Justin è stato marcato a uomo per tutta la vita da un forte senso di solitudine condito da pregiudizi e cattiverie.
Il calcio in molte occasioni viene lodato per le belle favole che è in grado di regalare, per tutte quelle volte che ha trasformato in realtà un sogno di un bambino che prende a calci una lattina per strada immaginando di essere un campione.
In questo caso però ha perso, ha perso clamorosamente. Ha perso 4-0 in casa.
Forse è per questo che nel 2016 non è accettabile che vengano usate certe terminologie dai nostri allenatori e giocatori. Perchè c’è un ragazzo che, per quel “frocio”, che resta in campo, come alcuni pensano, ha dovuto rinunciare alla vita.
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