Da più di cinquant’anni Miuccia Prada colleziona opere d’arte. Quattro anni fa, a Venezia, inaugurò la prima Fondazione Prada, uno spazio in cui si potessero allestire mostre di opere della magnate della moda. Quest’anno, a maggio, ha aperto i battenti il secondo avamposto della stilista a Milano.
La zona esterna dello scalo ferroviario di Porta Romana presenta un tessuto urbano molto periferico, rimasto separato dal resto della città per via della presenza dei binari, principalmente costituito da capannoni industriali in disuso. In Largo Isacco si trovava una distilleria, risalente all’inizio del secolo scorso e ormai da qualche anno abbandonata. È in questo luogo che gli architetti dello studio OMA hanno progettato la nuova Fondazione Prada.
Il progetto si pone come un catalizzatore di attività culturali, in cui allestire esposizioni permanenti, temporanee, cinema, biblioteca e laboratori didattici. L’assetto frammentato della fabbrica è mantenuto, in una disposizione di edifici sia nuovi che recuperati incorniciati dal corpo periferico che delimita l’area. Lo spazio che si crea è quello di una cittadella della cultura.
Gli edifici di nuova costruzione sanno porsi come landmark urbano con una raffinata contraddittorietà, una sorta di ambivalenza di fondo. Il più sgargiante è la vecchia torre interamente rivestita d’oro a 24 carati (per un totale di circa 5 chilogrammi d’oro); finitura che sfiora il trashic per la vistosità spavalda ma allo stesso tempo posata dell’intervento. I grandi volumi rivestiti in schiuma di alluminio (materiale ipertecnologico usato per attutire gli impatti nei carri armati di ultima generazione) sono minimalisti, assemblati con semplici logiche suprematiste, ma non per questo poco appariscenti. La grande torre, ancora in costruzione, svetta nel panorama locale mantenendo un’immagine quasi timida con un disegno di prospetto minimale e colori poco vistosi.
Il complesso di finiture, scelta di materiali, disegno degli spazi rivela una raffinatezza con pochi eguali. L’uso delicato dei colori, prevalentemente grigi più o meno riflettenti, fa da contrappasso ad episodi quasi tamarri; come nel caso del guardaroba, dove una grata metallica caratterizza tutte le superfici, colorandosi di verde acido sulla parete dove si trova il bancone. I pavimenti dello spazio espositivo principale sono in marmo marrone iraniano, tagliato a moduli rettangolari mobili sotto i quali possono essere impilate lastre di plexiglas delle stesse dimensioni per variare l’altezza puntualmente. Il risultato è una flessibilità di podi espositivi in grado di generare una orografia volumetrica interna.
All’interno del complesso si trova il Bar Luce, famosissimo per essere stato progettato dal regista americano Wes Anderson. L’atmosfera interna vuole rievocare quella tipica di un bar milanese degli anni ‘50. Il pavimento in terrazzo veneziano, i piani degli arredi in formica, le bottiglie di liquori un po’ retrò sullo scaffale dietro al bancone. Le pareti sono rivestite da una carta da parati che riproduce un pattern architettonico ispirato alla Galleria Vittorio Emanuele. L’effetto finale, in realtà, rivela drasticamente l’americanità del pensiero che sta dietro questo spazio: un’analisi che a prima vista può essere molto interessante, rivela di fatto una superficialità di fondo, lasciando un retrogusto posticcio “da Disneyland” dato soprattutto dall’assetto industriale di muri e pilastri, ennesima contraddizione di questo spazio. L’atmosfera tuttavia, proprio come per il parco divertimenti, è decisamente piacevole e non mancherei di raccomandarlo per un aperitivo a conclusione della visita.
Il progetto della Fondazione Prada è a mio avviso uno dei più interessanti del panorama architettonico mondiale contemporaneo. Esso riflette in modo estremamente lucido le ambivalenze della condizione sociale propria del nostro tempo: da una parte evoca la coscienza ecologica ed economica nel recupero degli edifici esistenti minimizzando gli sprechi; dall’altra parte propone una costante ricerca di sfarzo e rilevanza di immagine con un grattacielo di sessanta metri, un edificio d’oro e un altro in un materiale costosissimo, atteggiamento tutt’altro che economico ed ecologico. Questo spazio rivela le grandi contraddizioni del nostro tempo: il voler essere coscienti di essere parte di qualcosa di più grande da considerare con umiltà e il costante anelito all’autoaffermazione egocentrica sugli altri. Ci prende un po’ in giro, ci fa un po’ indignare ma sa senz’altro sorprenderci e meravigliarci.
Filippo Bottini
Approfondimenti:
http://www.fondazioneprada.org/
http://oma.eu/
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