Dopo tanta attesa e tante polemiche, lo scorso 7 Agosto è finalmente uscito nel nostro paese, invaso al solito da tormentoni estivi inascoltabili, “7”, il nuovo album di Paul Kalkbrenner per Sony music: sicuramente una delle notizie più interessanti nell’ambito musicale dell’estate appena trascorsa.
Ha destato molto scalpore la firma del produttore tedesco per una major come Sony, la cui vena commerciale sembrava inconciliabile con la musica proposta negli anni passati da Paul. Ci si chiedeva infatti come avrebbe fatto il nostro artista a non deludere le esigenze di una casa discografica così importante e quelle del suo pubblico, abituato al sound meraviglioso di album come “Berlin Calling” e “Icke Wieder”.
La campagna di promozione è stata faraonica, con addirittura tre singoli anticipati via youtube aventi come protagonista il ragazzo Florian, prima della pubblicazione del nuovo album; tecnica decisamente lontana dalle logiche underground.
Ora, a due mesi di distanza e in seguito a molti ascolti di questo suo nuovo album, possiamo dirvi che il buon Paul è riuscito a proporre un sound che non va a snaturare più di tanto il suo stile, ma che, dovendosi piegare alle logiche del mercato, non risulta innovativo, bensì privo di una vena significativa e originale. Kalkbrenner insomma propone una techno molto piaciona, concepita per avvicinare le masse, per ottenerne il consenso. Una musica, per usare un termine politico, populista; priva, tranne in qualche caso, di reali contenuti.
Il rischio di un passaggio al pop da parte del nostro Paul è stato nonostante tutto scongiurato, ma da un fuoriclasse del suo calibro ci si aspettava qualcosa di più.
L’album è caratterizzato da 12 tracce tutto sommato ben bilanciate e incentrate su una continua ricerca di melodie gradevoli, usate come cavallo di Troia per raggiungere una cerchia sempre più ampia di pubblico.
Kalkbrenner in seguito alla firma con Sony, ha avuto il permesso da parte della casa discografica di accedere del tutto liberamente al proprio archivio musicale: ha sfruttato questa possibilità attraverso delle scelte mirate che sembrano sposarsi perfettamente con le tracce da lui prodotte. In particolare e molto interessante la scelta del sample vocale della canzone “Never too much” di Luther Vandross per la piacevolissima “A million days”.
Un’altra scelta indubbiamente raffinata è quella di “white rabbit” dei Jefferson Airplane, che va a completare “Feed your head”, altra track molto bella di questo album.
Ci sono tracce che puntano molto sulle sonorità house, come “Shuffle face” che propone una cassa in 4/4 ben bilanciata e “Tone e timber” che sembra riportarci indietro di vent’anni con le sue melodie raffinate e deep; così come “Papercut pilot”.
L’unica concessione allo sperimentalismo musicale in questo album è rappresentata da “Motehrtrucker”, una sorta di mix tra techno e acid che ci ha fatto venire il sorriso sin dal suo primo ascolto, ma che di sicuro non è stata apprezzata dai profani del genere, che hanno comprato il disco perché attirati dalle sonorità più convenzionali delle altre tracce.
In conclusione, non sarà un capolavoro, ma se volete ascoltare un disco orecchiabile e ballabile senza dover ricorrere alla classica EDM, “7” fa sicuramente al caso vostro: alla fine ci sentiamo di dire che ne vale comunque la pena.
MUCH LOVE
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