(Tutte le immagini incluse in questo articolo sono di proprietà di Alec Soth e sono qui riprodotte al solo fine di rappresentarne la produzione artistica).
Conosciuto per caso attraverso articoli online ed approfondita la qualità della sua produzione artistica grazie alla monografia From Here To There: Alec Soth’s America (Fig.1), Alec Soth è un fotografo statunitense originario del Mid West, di cui racconta gli ambienti e le persone in quanto singoli. Questo suo punto focale d’interesse viene reso attraverso l’uso di una strategia fotografica che mira ad isolare il soggetto dell’immagine per renderlo più ‘abbandonato’ e dunque più vulnerabile.
La formazione accademica di Soth – che a detta sua “fa rima con both” – è in ambito artistico, e la sperimentazione di vari metodi espressivi è stata parte integrante della sua crescita. Esclusi pochi progetti giovanili, la sua produzione è stata effettuata su pellicole piane a colori per macchine grande formato 8×10 (i.e. quelle grosse macchine a soffietto montate su treppiede più comuni in film ambientati agli inizi del ventesimo secolo / Fig.2). Soth ha infatti scattato anche su formati più compatti e idonei ad una non/meno difficoltosa deambulazione, così come ha sperimentato l’uso del bianco & nero, ma ha trovato comodità e voce in uno strumento sia così peculiare da permettergli quel tipo di estetica che si può trovare nelle sue fotografie (Fig.3), che così ingombrante da spingerlo a non abbandonare mai un tipo di approccio diretto col soggetto che gli dia modo di conoscere il possibile soggetto della fotografia.
Soth stesso ha ammesso – in un’intervista con Marta Gili in merito all’uscita del suo ‘Paris / Minnesota’ nel 2007 – di “avere difficoltà a separare la sua sensibilità dalle caratteristiche insite nel mezzo fotografico” da lui utilizzato: la velleità di volersi allontanare dalla fotografia che incornici il soggetto ritratto è inevitabilmente vanificata dall’implicita natura circoscrivente di una fotografia. Soth dunque non rifugge i limiti spaziali della fotografia, ma piuttosto organizza la composizione della scena in modo di poter alludere allo spazio che è stato sottratto all’inquadratura e di aumentare la sensazione di vuoto che circonda ed esalta il soggetto (Fig.4).
Sicuramente il gusto personale di Soth è peculiare ed estremamente definito. Un esempio ne è il tema di un post del 16 aprile 2007 (i.e.’The Ballad of Good and Bad Titles’): la scelta del titolo di un progetto o di un libro fotografico. Partendo da una nota statistica volta a suscitare il clamore popolare – ovvero che gli uomini pensino al sesso in media ogni 7 secondi – Soth afferma di pensare con la stessa frequenza a titoli di progetti fotografici. Tesse le lodi di William Eggleston per la scelta di quasi tutti i suoi titoli (e.g ‘Eggleston’s Guide’, ‘Los Alamos’), per la semplicità con cui citi i titoli di altri autori (i.e. ‘Diane Arbus’ di Diane Arbus) o scelga il nome che gli è più congeniale fra tutti i luoghi che possa aver visitato per un progetto. Si sofferma sul fatto che dopo ‘American Photographs’ di Walker Evans e ‘The Americans’ di Robert Frank, nessuno abbia potuto resistere alla tentazione di utilizzare nuovamente il termine ‘American’per un titolo, ma solo Joel Sternfeld è stato in grado di farlo senza boria o scontatezza (i.e. ‘American Prospects’). Preferisce piuttosto ‘Women are Beautiful’, che al contempo risultano efficaci e sbeffeggiano la complicata ricercatezza di altri titoli. Egli stesso infatti ha scelto il titolo ‘Sleeping by the Mississippi’ (Fig.5) per il progetto che racconta le storie di tutti coloro le cui terre vengano bagnata dal suddetto fiume – ovvero 31 stati americani e 2 province canadesi.
La sua tecnica fotografica mira dunque a dare l’assoluta predominanza della scena al soggetto umano centrale. Non crede nel ‘momento decisivo’ enunciato da Henri Cartier-Bresson, ricercando piuttosto la completezza espressiva con pazienza e lentezza – da cui non potrebbe comunque esimersi per limiti tecnici della tipologia di mezzo fotografico scelto (i.e. le grosse macchine a grande formato). Per quanto vi siano eccezioni, la maggior parte degli scatti di Soth sono verticali – accentranti ed accentrati – ed aventi una profondità di campo tale da avere a fuoco il soggetto ritratto e ciò che gli sta davanti (i.e. verso il punto di ripresa), e fuori fuoco ciò che gli sta alle spalle. Tale tecnica non ha alcunché di nuovo e viene usata con sapienza: Soth infatti non esagera nella sfocatura del fondo, ma solo adopera quel minimo che permetta una separazione netta fra soggetto e sfondo (Fig.6).
Le poche eccezioni a tale schema artistico sono scatti in cui le persone ritratte sono meno statiche al centro del quadro in cui Soth pone i suoi soggetti solitamente: non più solo in verticale, la scena si estende fino al fondo con cui si integra con maggiore libertà ed entropia compositiva (Fig.7). Questo capita – molto più spesso che in altri progetti – in ‘Niagara’. Come si possa intuire oramai dai titoli scelti da Soth, egli persegue sempre la ricerca di un’analisi delle persone che abitano specifiche zone – estese o ridotte – degli Stati Uniti, con tutte le caratteristiche variegate che possano denotare le prime. Infatti, Soth ha fatto sua parte dell’estetica di alcuni film di Wim Wenders quali ‘Paris, Texas’, esempio di culto dell’america dai colori vividi e kitsch degli anni ’50-’60 che sopravvivono anche nella produzione fotografica di William Eggleston.
Soprattutto in ‘Niagara’ infatti, Soth mostra quale sia l’insito desiderio della sua fotografia analitica: infatti visita sistematicamente tutti i luoghi – soprattutto i motel – che circondano le cascate del Niagara. Interagisce con le persone e supera le barriere d’imbarazzo – da parte del fotografo – e di prevenzione – da parte della persona che viene approcciata da un fotografo – che caratterizza una fotografia non sbagliata, ma lontana dall’estetica di Soth. Infatti non vuole raccontare una storia – né ha intenzione di farlo, in quanto ritiene che la fotografia sia troppo ‘limitata’ nelle dimensioni dello spazio e del tempo, di cui mostra una sola singolo: è opinione di Soth che una storia richieda infatti un inizio ed una fine oltre a ciò che si possa trovare fra essi, laddove invece la fotografia è scevra da qualunque appiglio che non si trovi nella fotografie e che non derivi da conoscenze e preconcetti che l’osservatore possa riversare nell’immagine ritratta. Eliminare dunque elementi d’innaturalezza dettati dall’animo umano (e.g. imbarazzo e prevenzione sopracitati), media l’isolamento fedele di ciò che dunque non è narrativa – o perlomeno narrativa univoca e/o veritiera – ma un singolo istante isolato dal tutto (Fig.8).
Soth dimostra quindi di essere eclettico pur nel dogmatismo del suo metodo fotografico, non limitandosi al solo ritratto classico dell’umano: spesso alcuni dei suoi scatti più intimi sono quelli in cui l’uomo non è nemmeno inquadrato – proprio per il fatto che i suoi soggetti siano così a loro agio quando ritratti da non essere invasi nella loro intimità, ma da apparire anzi completamente a loro agio (Fig.7). Immagini di spazi antistanti la vita dell’uomo, estremizzate in un progetto commissionatogli da Magnum Photos (i.e. ‘Thirty three theaters and one funeral hall’) in cui Soth si è focalizzato sull’architettura dei cinema abbandonati nelle cittadine del Texas, ritraendo poi anche un edificio adibito a funzioni funebri, ma per nulla riconoscibile in quanto tale per il suo solo aspetto esterno (Fig.9).
Alec Soth è dunque un artista che vuole eludere i limiti spaziali della fotografia, ma al cui cospetto dialettico – intesa come dialettica greca analitica del valore di tale mezzo espressivo – si piega in quanto non adatta a raccontare una storia; un fotografo che interagisce con i suoi soggetti e non ha la fretta di voler cogliere qualcosa di fugace, ma piuttosto tenta di far crollare le difese di chi si trovi di fronte al suo obiettivo per coglierne la genuinità – per quanto questa possa a volte essere banale; un uomo che ha fatto domanda per entrare nella Magnum Photos per quanto quest’ultima abbia solo fotogiornalisti o reportagista fra i suoi membri, e Soth sia invece un fotografo di fine-art (Fig.10) che rifugge il successo dato dal mercato dell’arte. Soth dunque non vuole l’approvazione dei mercanti d’arte e dei suoi estimatori – né probabilmente ricerca alcuna approvazione artistica. Egli ha infatti fondato una sua casa editrice, la Little Brown Mushroom, dove ora organizza anche workshop fotografici.
Ciò in cui Soth è efficace – e ritenuto tale da chi lo stima – è la capacità di creare disagio, in quanto solitamente il commento più frequente sulle labbra di chi per la prima volta veda una sua foto sia: “Che ansia”, forse perchè la visione di una persona così sola induca tale stato d’animo nella natura umana dell’osservatore, nonostante i soggetti ritratti non dimostrino mai di non essere a loro agio o in equilibrio con la loro vita.
Bibliografia e link:
- From Here To There: Alec Soth’s America – Geoff Dyer, Siri Engberg, Alec Soth and Bartholomew Ryan – 30 Novembre 2010, Walker Art Center.
- Sito personale
- Blog
- Pagina monografica su Magnum Photos
- Sito di Little Brown Mushroom
- Reportage su PBS Newshour
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